Casaleggio, il regista alieno e anti-Palazzo che ha preso in prestito da tutti

di Mario Ajello
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Mercoledì 13 Aprile 2016, 00:02
Come mai il cordoglio unanime e - almeno così sembra - sinceramente commosso da parte di tutti i politici per Gianroberto Casaleggio? Perché l’onore delle armi a un protagonista che lascia la scena, da lui in realtà mai occupata perché comandava da fuori e da dietro, è una delle prime usanze della civiltà. Ma questo non basta a spiegare come mai, dai vertici istituzionali fino ai leader a lui più avversi quali Salvini o Meloni, ai partiti di lui nemicissimi come il Pd, Ncd, Forza Italia e a molti candidati sindaci nelle prossime amministrative, tutti piangano la perdita di una figura che in vita non godeva ufficialmente di tanta ammirazione. Casaleggio non è stato, agli occhi del Palazzo impaurito di fronte a un personaggio irriducibile a ogni schema classico, un folletto inquietante perché misterioso? Non era uno che forse arrivava dalla Spectre o dalla Trilateral («Chi c'è dietro Casaleggio?», è stato in questi anni il tormentone e lui: «Dietro Casaleggio c'è soltanto Casaleggio») o dal Pianeta di Gaia tanto caro a questa sorta di elfo riccioluto e di presunto broker dell'alienazione politica? Non era il manovratore occulto della post-democrazia e il burattinaio di Grillo e di tutte le marionette mandate alla Camera e al Senato e meticolosamente controllate da un sistema le cui password, e questo è un fatto innegabile, le aveva soltanto lui?

Ora che Casaleggio non c'è più, la novità - anche ambigua - che rappresentava è più facile da riconoscere da parte degli altri attori della politica. I quali finora lo avevano considerato un corpo estraneo e adesso sembrano osservarlo, da qui la corsa all'omaggio postumo, in una luce che tiene conto delle innovazioni da lui introdotte nella comunicazione e nella pratica politica. Casaleggio ha portato il suo movimento in Parlamento e lo ha istituzionalizzato, e questo non può che essere - per esempio agli occhi sensibilissimi del presidente Mattarella - una delle positività di questo manager-leader tanto singolare e controverso. I capi di partito soltanto ora possono riconoscere in lui ciò che loro, in molti casi, non riescono ad essere. Capaci di connettersi con una società che è cambiata. Piacerebbe anche a loro essere titolari, come era lui, di una forza politica che coniuga il massimo della retorica iper democraticista (l"uno vale uno", è il celebre slogan sbandierato e disatteso da Casaleggio) e il massimo del verticismo, senza che il secondo ingrediente appaia per quello che è: ossia preponderante sul mito della democrazia diretta e dell'orizzontalità egualitaria di tutte le scelte. Che Casaleggio prendeva e imponeva più di chiunque altro. Perciò, forse, i vari capi partito lo hanno sempre invidiato un po’.

 

E di sicuro in queste ore stanno valutando, in maniera più libera da esigenze propagandistiche, l'intuizione di questo personaggio: ossia che Internet rende possibile una nuova forma di marketing politico collegato al malumore popolare (e ha prodotto pure guadagni). Anche per questo Berlusconi ha sempre detto che lo trovava una figura inquietante ma interessante. L'uso del populismo e della polemica anti-casta, che è stato di Casaleggio e fu del Renzi degli esordi, ora che il guru 5 stelle non c'è più e che l'altro è in qualche difficoltà comunicativa, chissà che non sia più facile da rispolverare da parte del premier. Nell'omaggio all'avversario caduto in battaglia, c'è il riconoscimento che anche senza essere mai stato premier o ministro o deputato, senza mai aver fatto passare una riforma, senza essere conosciuto nel Paese - infatti ieri alla camera ardente non c'era una grande folla - Casaleggio non è stato soltanto l'utopista alla continua ricerca di una improbabile rigenerazione universale. Ma anche un contestatore del contesto capace di insistere su onestà e trasparenza (quest'ultima personalmente rivelatasi più problematica dell'altra) che sono valori largamente richiesti dalla pubblica opinione. Ora che non c'è più, tutti omaggiano Casaleggio anche per riprendersi quel che lui ha tolto loro. Ai leghisti il guru pentastellato ha in parte sottratto, da imprenditore, l'attenzione che ai tempi di Bossi era anche fisica per i piccoli imprenditori.

Che spesso hanno cercato in Casaleggio, molto più che in Grillo, un interlocutore.
Del dipietrismo, da cui proviene, e da certa sinistra egli ha preso il giustizialismo, fino a farne una caricatura: nella sua ultima fatica letteraria, "Veni vidi web", immagina gabbie in mezzo alle strade dove esporre ladri e malfattori. Rispetto al Pd, partito di anziani, Casaleggio ha creato una retorica di anti-consumismo, trasversalismo politico, post-ideologia ma anche neo-spiritualismo internettiano che non può essere ignorata da chi aspira a rappresentare l'Italia delle masse soprattutto giovani, anche se la gran parte dei giovani e non giovani elettori pentastellati non sa che il copyright su molta della cultura corrente in Rete lo aveva un semi-sconosciuto chiamato Gianroberto. Assemblatore di un melting pot socio-culturale (per esempio il fondamentalismo ecologista, un po' da campo Hobbit, senza Casaleggio tornerà alla destra sociale?) che se prima si poteva fingere di ignorare o apertamente disprezzare adesso conviene guardare tecnicamente per quello che è e magari appropriarsene almeno a pezzi, da parte dei concorrenti non grillini. E così, insomma, Gianroberto da nemico del Palazzo è diventato, non solo per convenienza machiavellica dei suoi inquilini, caro estinto del Palazzo. Al quale, in vita, è riuscito a trasmettere poco. 
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