Camere, nuove assunzioni
e stipendi legati al merito

Camere, nuove assunzioni e stipendi legati al merito
di Diodato Pirone
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Mercoledì 10 Gennaio 2018, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 11 Gennaio, 08:10
Il 2018 sarà un anno leggendario per Camera e Senato. Per capirlo basta un episodio: ieri è stato richiamato al lavoro l’ex capo del personale della Camera, il dottor Aldo Stevanin, classe 1960, che poco prima di Natale aveva dato l’addio alla sua lunga militanza dentro Montecitorio. Si, nella più importante azienda italiana, quella che sforna le leggi, il capo del personale ha firmato il proprio pensionamento (ufficialmente iniziando a prendersi le ferie arretrate) per ritornare subito alla sua scrivania.

Come è potuto accadere? Il fatto è che - nella sorpresa più totale - per i circa 2.000 dipendenti parlamentari è scattata una tagliola odiata e micidiale come il blocco dei pensionamenti: di sei mesi alla Camera e di due anni al Senato. La misura è figlia della rottura delle trattative fra gli uffici di presidenza delle Camere e i 25 sindacati (11 a Montecitorio e 14 a Palazzo Madama) sulla più profonda ristrutturazione che Camera e Senato abbiano mai affrontato.

GLI INTERESSI IN GIOCO
Il grimaldello che sta aprendo una nuova fase della vita delle due istituzioni, rompendo routine e interessi grandi e piccoli, ha un nome ostico ai più: “ruolo unico”. Significa che da quest’anno parte il percorso che porterà all’unificazione del personale delle due istituzioni. E questo si sta già traducendo in eliminazione dei doppioni fra i dirigenti di Camera e Senato, nell’indizione di nuove gare trasparenti e “risparmiose” (con tagli di milioni di euro) per computer, biblioteche, servizio stampa e per quello medico (oggi assegnato dalla Camera al Gemelli) che assiste i parlamentari e i visitatori pari a oltre 7.000 persone al giorno solo a Montecitorio.

Ma “ruolo unico” significa anche nuovi concorsi. Si: assunzioni. Perché Camera e Senato non assumono dal 2003 mentre solo a Montecitorio il personale è diminuito dalle 1.856 unità alle attuali 1.100.
I concorsi dovrebbero protrarsi per un paio d’anni per coprire fra le 100 e le 150 posizioni, in tutt’e cinque le categorie (dai centralinisti ai consiglieri) nelle quali si suddividono i lavoratori del nostro Parlamento. I nuovi assunti saranno pagati il 20% in meno rispetto agli stratosferici livelli dei dipendenti attuali ai quali, dal primo gennaio di quest’anno è stato tolto il tetto triennale imposto dal 2014 e che ha fruttato circa 25 milioni di risparmi.
Il che vuol dire che un elettricista, sia pure nel raro caso di 40 anni di servizio, potrà tornare a ricevere la siderale cifra di 156.000 euro lordi annui.

Chi vincerà i concorsi non lavorerà più per la Camera o il Senato ma per il Parlamento, ponendo fine ad una distinzione che ha favorito il lancio nell’iperspazio delle retribuzioni degli attuali dipendenti che comunque - è bene sottolinearlo - devono garantire l’imparzialità e il perfetto funzionamento di una istituzione strategica per la democrazia.

SPAZIO ALLA PRODUTTIVITÀ
Il 2018 porta nel cuore del Parlamento un’altra enorme novità: finalmente anche le retribuzioni dei dipendenti attuali e futuri di Camera e Senato faranno i conti con produttività e merito. Oggi infatti - dopo il blocco delle retribuzioni più alte durato tre anni - gli scatti dei lavoratori parlamentari sono biennali e automatici. Ma da quest’anno in via sperimentale e dal 2019 in modo “scientifico” gli scatti saranno legati ad una valutazione della produttività e della qualità del lavoro di ogni dipendente. Alla Camera giurano d’aver fatto un lavoro certosino formulando punteggi per ogni categoria per evitare premi a pioggia.

In questo quadro c’è persino chi dà l’esempio dall’alto: la segretaria della Camera, Lucia Pagano, nominata nel 2015, e i cinque vicesegretari hanno accettato il limite settennale rinnovabile della carica (non più a vita) rinunciando anche all’aumento annuale di circa 100.000 euro, rispetto agli altri consiglieri parlamentari. 
Al “ruolo” si è arrivati dopo un lavorìo durato anni degli uffici di presidenza della Camera e del Senato seguito in particolare dalla vicepresidente di Montecitorio Marina Sereni, deputata umbra del Pd, ma non certo l’unica a farsi una marea di nemici alla Camera.
I rapporti delle presidenze con la pletora di sindacati parlamentari sono assai tesi perché le organizzazioni sindacali hanno chiesto nei concorsi una grande quantità di tutele per i dipendenti interni (a partire dall’eliminazione dei limiti d’età per favorire alcuni precari ma non solo loro). Di qui il giro di vite, con la rottura delle trattative sindacali, l’avvio da parte delle presidenze (come da regolamento) della procedura dei concorsi più aperti agli “esterni” e il blocco dei pensionamenti.
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