Banche, rischi in agguato/Operazione verità, non regolamenti di conti politici

di Mario Comana
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Giovedì 22 Giugno 2017, 00:03
La Commissione di inchiesta sulle banche, varata ieri dal Parlamento, nel migliore dei casi produrrà un modesto bignami dell’amplissimo quadro informativo di cui già oggi disponiamo sulla crisi bancaria. Oppure, se si preferisce, produrrà una gigantesca collazione di fascicoli, dossier, report, indagini stilati dai numerosi soggetti che, a vario titolo, hanno analizzato e indagato sul tema. Alla fine, niente di veramente nuovo potrà emergere dal compito che un gruppo di parlamentari si appresta a svolgere. Anche perché il limite temporale della conclusione della legislatura lascia davvero poco spazio a un lavoro serio e costruttivo.

Il settore finanziario, e quello bancario in particolare, sono oggetto di una costante supervisione da parte delle rispettive autorità di controllo, a livello nazionale e comunitario. Queste autorità hanno più volte riferito al Parlamento e al Paese sia nelle occasioni rituali (le relazioni periodiche obbligatorie) sia nelle audizioni volta a volta richieste dalle Camere. Anche la magistratura e i corpi di polizia hanno svolto le loro inchieste, riversandone i risultati nei processi e, ove del caso, riportando le evidenze alle stesse autorità di controllo.

Che cosa potranno svelare di più che non sia stato già riferito? Non manca al Parlamento la materia prima per comprendere cosa è accaduto alle banche italiane, né gli fanno difetto gli elementi per valutare se l’azione delle istituzioni di vigilanza è stata appropriata oppure no. Ma quand’anche questo lavoro di ricognizione portasse a un’interessante ricostruzione, sarebbe comunque inutile perché tardivo. La fine della legislatura affetterà la conclusione dei lavori che è ingenuo pensare saranno fatti propri da coloro che seguiranno.
La seconda ragione di inutilità della Commissione è che ormai nel campo della regolamentazione finanziaria non abbiamo più poteri normativi, essendo le competenze state conferite all’Europa, per quanto riguarda la statuizione delle norme, e alla Bce per quanto riguarda la funzione di vigilanza. Ecco perché il risultato dell’inchiesta sarà forse utile per gli studiosi di storia economica, ma non per orientare le scelte del legislatore nel futuro. E c’è il rischio che alla fine serva soltanto per regolare qualche conto. 

Che il nuovo dominus delle crisi bancarie non sia più a Roma ma fra Bruxelles e Francoforte lo dimostra un fatto importante accaduto ieri: la proposta di Intesa Sanpaolo di rilevare le due banche venete in crisi. Lo schema immaginato è qualcosa a metà fra quello uscito dal modello italiano delle good banks e quello del Santander–Banco Popular. Se si concretizzasse sarebbe una buona notizia perché arginerebbe una deriva che si faceva di giorno in giorno più preoccupante. Però rimarrà appesa al filo delle necessarie autorizzazioni delle autorità nazionali e sovranazionali (anche se queste ultime non ci metteranno neanche un centesimo!). È troppo sperare che, come nel caso spagnolo, la risposta giunga in pochi giorni, onde evitare che il costo per il sistema Italia cresca ulteriormente?

A questo proposito, a me che non sono un parlamentare ma solo un cittadino contribuente, piacerebbe che la Commissione rivelasse anche dove erano i nostri deputati e senatori quando si forgiavano le normative europee sul bail-in e quando sono poi state da loro stessi recepite nel nostro ordinamento. Più di qualcuno ha espresso il dubbio che le nostre Camere fossero quantomeno distratte allorché la nuova disciplina venne sottoposta al loro varo. Piacerebbe inoltre sapere perché non si sono occupati di proteggere i risparmiatori dopo l’adozione di quelle norme, favorendo un passaggio graduale, con un’adeguata formazione e informazione, con la verifica preventiva del classamento dei titoli soggetti al fallimento, con un’analisi preventiva della compatibilità dei modelli di business e delle modalità di capitalizzazione delle nostre banche alla luce delle leggi europee. Chiedo venia per la provocazione, ma forse sarebbe più utile una Commissione di indagine sull’attività parlamentare, fattispecie che purtroppo non mi risulta prevista dalle leggi attuali.

Uno studio molto più utile sarebbe invece quello delle nuove modalità di finanziamento dell’economia e del sistema produttivo nel contesto del dopo-crisi: quali sono i nuovi circuiti finanziari che si affermano al di fuori delle banche? Come supportare le imprese nell’epoca della tecnologia finanziaria delle piattaforme di scambio diretto investitori e imprese? Infine, nella legge istitutiva della Commissione si legge che essa è chiamata anche a indagare sulle «conseguenze dell’aggravamento del debito»: ma come, non sono proprio i parlamentari, in quanto autori delle leggi di bilancio, i responsabili dell’aggravamento del debito? E non sanno quali sono le sue conseguenze? Come dire che Verstappen non conosce le conseguenze del pigiare l’acceleratore.

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