Banche venete, il governo blinda l'accordo: oggi il decreto sul salvataggio

Banche venete, il governo blinda l'accordo: oggi il decreto sul salvataggio
di Marco Conti
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Domenica 25 Giugno 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 26 Giugno, 01:19

Il decreto slitta ad oggi. Il Consiglio dei ministri verrà convocato da Paolo Gentiloni in mattinata per il varo di un testo al quale lavorano da giorni i tecnici del Mef insieme ai colleghi di Palazzo Chigi, di Bankitalia e ai rappresentanti di Intesa Sanpaolo, la banca che per un euro rileverà le attività in bonis della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.

LE LEGGI
Un confronto non facile che ha avuto anche momenti duri. A cominciare dal passaggio più difficile che ha riguardato il nodo degli esuberi e sul quale sabato pomeriggio ha rischiato di saltare tutto nuovamente. Ovvero di cosa fare dei mille e duecento dipendenti dei due istituti che la Bce sabato sera ha dichiarato «in dissesto» e quindi pronti per essere ammessi alle procedure fallimentari previste dalle leggi italiane.

Intesa ha infatti chiesto al governo garanzie sul rifinanziamento del fondo esuberi di categoria che la legge di Bilancio prevede di rimpinguare con 600 milioni, non sufficienti però a coprire le esigenze delle due banche in liquidazione e di Intesa che punta ad allargare il meccanisno di incentivi ai propri dipendenti. Per qualcuno la soluzione in atto con il decreto è frutto di un escamotage trovato da Roma e Francoforte per evitare la procedura del bail-in che avrebbe avuto pesanti ripercussioni sui risparmiatori con conseguenti proteste sotto Palazzo Chigi, e non solo. 

L’obiettivo, spiegato dal Tesoro, è stato quello di «adottare le misure necessarie ad assicurare la piena operatività bancaria, con la tutela di tutti i correntisti, depositanti e obbligazionisti senior e junior retail».
Oltre a questo il decreto dovrà prevedere anche le misure necessarie per coprire i costi della bad bank e del conseguente smaltimento dei crediti difficilmente esigibili. Il tutto senza irritare Bruxelles che dovrà valutare se gli aiuti pubblici sono rimasti nel perimetro delle norme comunitarie.

Ieri pomeriggio il confronto si è nuovamente spostato a Palazzo Chigi con il ministro Padoan arrivato nel pomeriggio. Una corsa contro il tempo che ha dovuto fare i conti con la necessità di chiudere il tutto entro oggi in modo da mettere l’operazione al riparo dei mercati e permettere al Capo dello Stato, Sergio Mattarella - che più volte si è informato sull’andamento del confronto - di firmare il decreto prima della partenza per il Canada. 

Il costo del salvataggio delle due banche - o meglio per evitare che a pagare siano risparmiatori con depositi superiori a 100 mila euro e obbligazionisti ordinari - si aggira sui 13 miliardi di euro. Una cifra considerevole che però viene valutata dal governo di gran lunga inferiore a quelli che sarebbero stati i costi di un bail-in e di una possibile crisi di sistema che avrebbe avuto un impatto fortissimo su una delle aree del Paese, il Triveneto, che da sola pesa più della Grecia. Un ragionamento che è stato alla base anche del via libera dato dalla Bce e da Bruxelles che accettare la deroga alla normativa sugli aiuti di stato proprio perché riconosce «un rischio sistemico».

IL VOTO
Il gruppo guidato da Carlo Messina, consapevole di essere l’unica opportunità per il governo per evitare clamorosi e pesanti crack ma anche consapevole dei rischi che correrà in futuro, ha tenuto duro sino a ieri sera su molti punti dell’accordo. Non ultimo ha chiesto al governo un impegno a «blindare» il testo del decreto ricevendo rassicurazioni sulla volontà dell’esecutivo di porre il voto di fiducia. A giudicare dalla sordina che i partiti, di maggioranza come di opposizione, hanno messo sulla vicenda, il decreto dovrebbe passare senza particolari problemi anche se sono scontate le polemiche sulla soluzione trovata e soprattutto sui tempi impiegati dal Mef per trovare la soluzione.

Dubbi che allignano anche dalle parti del Nazareno. Ieri l’altro è toccato a Matteo Renzi chiamare più volte il presidente del Consiglio affinché imponesse al Mef di Pier Carlo Padoan una linea più attenta ai risparmiatori e alle esigenze dei dipendenti dei due istituti che Intesa non intende assorbire.

Senza contare che un braccio di ferro con Bruxelles sulla natura del fondo di garanzia interbancario sarebbe molto piaciuto a Renzi.

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