Egoismi e diritti/ L’autonomia del Nord nega le priorità di un Paese

di Beniamino Caravita
3 Minuti di Lettura
Venerdì 20 Ottobre 2017, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 08:00
Domenica prossima gli elettori veneti e lombardi sono chiamati ad esprimersi in due referendum regionali, la cui richiesta sostanzialmente è se essi vogliano che le due Regioni si attivino al fine di chiedere allo Stato l’attribuzione di competenze maggiori nelle materie previste dall’art. 116 della Costituzione. Si tratta di un articolo, introdotto con la riforma del Titolo V del 2001, che prevede il cosiddetto regionalismo differenziato. 

È una previsione teorica, perché potrebbe permettere ad ogni Regione di ottenere quelle materie più legate alla propria realtà locale, ma di difficile attivazione. Una prima difficoltà è di carattere generale, giacché non può essere sottovalutato il rischio della costruzione di un sistema amministrativo a macchia di leopardo, in cui ogni Regione chiede funzioni diverse, scomponendo così l’unità amministrativa statale. Una seconda difficoltà è di carattere procedurale, dovendo l’attribuzione di funzioni giungere all’esito di un percorso complicato, che si conclude con una legge approvata a maggioranza assoluta, vale a dire più alta di quelle ordinarie. Una terza difficoltà è di carattere finanziario: il testo costituzionale prevede che una tale attribuzione deve avvenire nel rispetto dei principi in tema di finanziamento della spesa dello Stato e degli enti locali. 

Si tratta di difficoltà talmente rilevanti che tutti i (timidi) tentativi finora effettuati si sono immediatamente arenati. Da qui il tentativo delle due Regioni di usufruire di una spinta popolare per presentarsi più forti davanti allo Stato centrale. Dunque, un’iniziativa di portata politica per fare qualcosa che le Regioni già potevano fare.

Il voto referendario pone in effetti una questione costituzionale di grande rilievo, che andrebbe però sottoposta all’intero Paese: cosa ne pensate del regionalismo differenziato? Ma nulla aggiunge e nulla toglie alle possibilità già attribuite alle due Regioni, così come a tutte le altre.

Si dice - come ha giustamente sottolineato Viesti sulle pagine di ieri di questo giornale - che in realtà si vota sui “soldi”, cioè sulla quantità di risorse lombarde e venete che dovrebbero rimanere sul territorio, per finanziare migliori servizi ai cittadini delle due Regioni coinvolte. Questo è vero per quanto riguarda le intenzioni dei promotori, certo non sotto il profilo costituzionale.

E, infatti, cosa che purtroppo sfugge nel dibattito giornalistico e in quello politico, sui quesiti proposti dalla Regione Veneto, è già intervenuta la Corte costituzionale (sentenza 118/2015), dichiarando incostituzionali altri quattro quesiti che la Regione voleva sottoporre al voto, su cui dunque non si voterà: uno con cui si voleva chiedere ai cittadini veneti se il Veneto deve diventare una Regione a Statuto speciale, altri tre miranti a vincolare una quota importante (pari all’80%) dei tributi riscossi a rimanere sul territorio regionale. È difficilmente gli effetti del voto referendario potranno allargarsi fino a ricomprendere qualcosa che la Corte costituzionale aveva chiaramente proibito. 

Da un punto di vista teorico, è anche immaginabile arrivare ad un meccanismo di distribuzione delle risorse che veda che una parte di esse rimanga nel territorio che le ha prodotte; ma, in primo luogo, questa è una decisione nazionale e certo non locale; in secondo luogo, un meccanismo siffatto deve necessariamente prevedere che agli apparati centrali tornino (o rimangano) le risorse finanziarie destinate al debito pubblico, le risorse necessarie alle funzioni unitarie, le risorse necessarie, in una logica di solidarietà, alla perequazione tra le diverse aree del Paese. 

Ben venga, allora, una consultazione sul livello di autonomia che ogni collettività vuole avere. Purché ciò avvenga tenendo presenti le reali priorità del Paese (tra le quali non può essere dimenticata la questione del recupero di dignità della Capitale: non a caso nella legge sul federalismo fiscale del 2009 vi era il primo tentativo di dare una disciplina a Roma Capitale) e nel chiaro rispetto dei limiti che la Costituzione pone: con l’auspicio che nessuno pensi di potersi infilare nella egoistica strada senza uscita in cui si è cacciata la Catalogna. 

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA