Dopo il referendum/ Il suicidio collettivo che desertifica la Capitale

di Virman Cusenza
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Mercoledì 26 Aprile 2017, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:31
Una catastrofe esemplare in cui c’è il concentrato di tutti i mali italiani: l’abuso dei sindacati, la loro incapacità di rappresentanza nel momento in cui è in gioco una scelta cruciale per l’azienda, la miopia di quella fetta dei lavoratori stessi che dovendo decidere sul loro futuro, anziché guardare al beneficio duraturo anche per le prossime generazioni, puntano al piccolo cabotaggio dell’oggi. Quello che alla fine costerà probabilmente il posto di lavoro. Insomma, è tempo di finirla con le vecchie ricette anni ‘70, le tattiche tradizionali e il solito scaricabarile: espedienti figli di una mentalità seppellita dai tempi.

La follia con la quale si conclude l’atto finale di Alitalia - il suicidio collettivo - è l’ultimo anello di una catena di errori. L’ultimo, ma solo cronologicamente, è quello dei sindacati che temendo di essere sconfessati dai loro iscritti hanno paradossalmente scelto la via più breve per esserlo: quel referendum che in Italia, ma non solo, è diventato uno strumento non tanto per verificare la effettiva volontà della maggioranza del popolo ma un’arma sfogatoio per riversare sulla dirigenza di turno (politica, aziendale o sindacale che sia) tutto il livore, il malessere e lo scontento nei confronti di chi ha qualche responsabilità. Uno strumento dunque da maneggiare con cura, quando non necessario.
Naturalmente bisogna anche riflettere sulle cause e sulla catena di errori che in questi anni hanno condotto Alitalia al baratro che non da adesso ci si è squadernato sotto gli occhi. E lì bisogna risalire anche alle scorciatoie e agli abusi - tanti - che la politica ha commesso nel momento in cui i partiti, nel corso di una lunghissima stagione, hanno trattato Alitalia alla stregua di un carrozzone clientelare in cui sistemare frotte di protetti, anziché un’azienda privata qual è. 

Un’azienda tenuta in vita grazie a lauti e spesso non restituibili prestiti di Stato o magari da potenziare al Nord creando controversi doppioni. Una fila di manager che hanno fatto il bello e cattivo tempo per conto terzi o che magari, in qualche più fortunato caso, hanno tentato il miracolo senza riuscirci. Perché è noto che nel nostro Paese senza un adeguato spirito di squadra e la esplicita condivisione delle responsabilità (del tutto assente in questo caso) ogni impresa diventa impossibile. 

A questo va aggiunta anche la mancanza di lettura del mercato, nel momento in cui tutto si trasformava sotto i nostri occhi e le compagnie low cost cominciavano a dettare legge sul fronte nazionale e internazionale. Il voler continuare a mantenere status che non rispondessero ai costi vivi del sistema-impresa ha accelerato semplicemente la crisi e quindi la insostenibilità di Alitalia. Oggi di sicuro non c’è più spazio per l’ennesimo salvataggio che per lo stesso governo e la dignità dei cittadini-contribuenti costituirebbe un precedente pericoloso. Indietro non si può tornare. È caduto anche l’ultimo tabù tutto italiano: non c’è più qualcuno (lo Stato) che paga il conto per tutti dopo aver cicaleggiato per decenni. 

Accanto a questo c’è una crisi nella crisi: quella della nostra Capitale che ormai da anni vede svuotarsi i serbatoi e i bacini più strategici dell’impresa e del mondo del lavoro. Aziende che traslocano a Milano, altre che chiudono. Così il patrimonio produttivo, la ricchezza occupazionale di cui Alitalia costituiva uno dei baluardi principali insieme ai pilastri del terziario come la pubblica amministrazione e la Rai - che potrebbero rendere moderna ed efficiente una Capitale - è andato assottigliandosi fino a polverizzarsi. Insomma, ciò che poteva fare grande Roma è diventato nel tempo la sua zavorra, declassando e impoverendo non solo i suoi abitanti ma l’intero Paese. In un processo irreversibile di desertificazione che potrebbe ridurre la nostra città come certe capitali mediorientali - sia detto con rispetto - un lunapark per soli turisti, una Disneyland nemmeno organizzata che non sfrutta imprenditorialmente e perciò adeguatamente la ricchezza su cui è seduta. 

Una parabola che purtroppo ben si sposa con il paradosso di Alitalia: la compagnia di bandiera di un Paese che dovrebbe fare (anche) del turismo il suo punto strategico oggi sta per chiudere i battenti rinnegando il ruolo e la missione che avrebbe dovuto avere.
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