L'intervento/ La festa del 2 giugno e le nuove sfide che affronta il Paese

di Franco Marini
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Sabato 28 Maggio 2016, 00:05
Nei prossimi giorni cade il settantesimo della scelta repubblicana compiuta dal popolo italiano col referendum del 2 giugno 1946. Governo e Parlamento hanno ritenuto questa ricorrenza di così alto significato da inserirla negli anniversari di interesse nazionale, per il 2016, insieme al settantesimo del voto alle donne, dell’avvio dei lavori della Costituente ed al centenario della nascita di Aldo Moro.

Affidando al Comitato storico scientifico ed alla Struttura di missione della presidenza del Consiglio il compito di promuovere iniziative culturali, artistiche e didattiche al fine di animare una riflessione il più ampia possibile su questa data.

La proclamazione della Repubblica, ha ricordato di recente il Capo dello Stato, fu insieme «un punto di svolta ed un traguardo storico». Essa, dopo il ventennio fascista che aveva precipitato il Paese nella tragedia del secondo conflitto mondiale, riprende fili di un processo democratico e unitario che trova le sue radici storiche e ideali nel Risorgimento. Ma non ci sarebbe stata Repubblica senza la lotta di Liberazione dal nazifascismo, senza cioè la ribellione corale delle italiane e degli italiani all’ideologia ed al sistema costruiti attorno alla negazione dei più elementari diritti dell’uomo: la libertà e l’uguaglianza. La Repubblica dunque è insieme la risposta al disastro morale del fascismo ed il viatico per la rinascita, nella democrazia, dalla devastazione materiale causata dalla guerra.
Desiderio di libertà, di giustizia, di uguaglianza, di pace, di rispetto della vita di ogni uomo e di tutti gli uomini «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» - come poi provvederanno i costituenti a scolpire nella nostra Carta fondamentale all’articolo 3 - muovevano le coscienze degli italiani e delle classi dirigenti di quel tempo nella scelta dell’ordinamento repubblicano. Anche se è bene vigilare perché il rischio di passi indietro non è mai fugato per sempre, penso che per noi si tratti di una grammatica di valori indubitabilmente acquisita. Ma, mi chiedo, se lo stesso possa dirsi oggi per l’Europa. Quell’Europa immaginata e costruita unita ed in pace da alcuni grandi uomini di Stato, come Alcide De Gasperi. Quell’Europa, lo ha sottolineato ancora il presidente della Repubblica, che «è il nostro destino e la nostra opportunità nel mondo globale» nonché il luogo «dove vengono messi alla prova i valori della nostra convivenza».

Proprio perché l’Europa oggi vive la sua più allarmante crisi di senso, al punto da far implorare a papa Francesco lo scorso 6 maggio «che cosa ti è successo Europa, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo Europa madre di popoli e nazioni?», penso che dovremmo cogliere questo anniversario, per il giacimento di valori universali in sé racchiuso, per sforzarci di scacciare dai nostri occhi e da quelli degli altri popoli europei i veli che oscurano la comprensione minacciando di ricacciarci in un antro pericoloso di disunità e discordia.
Noi italiani, e naturalmente lo stesso vale per gli altri popoli del vecchio continente, non possiamo più pensarci esclusivamente entro una dimensione nazionale. E se questo vale per le politiche commerciali o finanziarie a maggior ragione deve valere sul piano dei valori e dei principi che ispirano i nostri ordinamenti. Il più grave sconquasso economico e occupazionale da un secolo a questa parte e l’afflusso di milioni di disperati in fuga dalla fame e dalle guerre non sono certo fenomeni ordinari; il sentimento di paura e la disposizione alla “trincea” possono essere reazioni comprensibili purché non assumano i caratteri della cifra della risposta culturale prima ancora che politica e istituzionale. L’alternativa non è un generico buonismo che rifiuta di guardare in faccia la realtà. Se siamo dinanzi non a un’epoca di mutamenti ma ad un mutamento d’epoca è da qui, da questa considerazione che occorre muovere il passo. Forse, accogliendo l’invito di Francesco, ricercando un “nuovo umanesimo”. Di certo non lasciando che la polvere cada sui valori che hanno animato anche noi italiani quando abbiamo lottato per la democrazia e per dare a noi stessi un futuro ed una speranza di progresso nella libertà scegliendo la Repubblica settant’anni fa.
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