Creatività laica per i luoghi sacri

Creatività laica per i luoghi sacri
di Stefano Boeri
4 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Ottobre 2014, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 17:00
L’attenzione per l’architettura, e non solamente per l’architettura del Sacro, accompagna l’intera vita e l’opera di Papa Montini.



La sua è un’interrogazione costante verso le discipline che plasmano lo spazio, capaci di trasformare in pietra le idee e in simboli gli spazi. Precursore e protagonista del Concilio Vaticano II - e dunque di un’apertura della Chiesa verso le culture del contemporaneo - nel corso degli anni Paolo VI affida il compito di plasmare i luoghi che la Chiesa edifica per accogliere i fedeli ed incontrare il mondo, alla creatività laica degli architetti, dei professionisti colti. Li chiama a sé più volte nel corso della sua vita.



E sembra ogni volta usare il tono vibrante e insieme pacato utilizzato nel parlare agli artisti il 7 maggio 1964, negli spazi aulici della Cappella Sistina. In quell’occasione si rivolge loro evocando un’opportuna complicità: «Rifacciamo la pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti? Vi abbiamo fatto tribolare perché vi abbiamo imposto come canone primo l’imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità.



Noi abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v’è via di uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci …».



Paolo VI sembra attento a ribadire l’opportunità di affermare una disciplina, la disciplina della sobrietà nella costruzione laica dei luoghi della Sacralità. La verità è che Montini ben conosce i rischi dell’enfasi formale, gli eccessi di un’estetica inebriata di un’interpretazione semplicistica – e dunque volgare - del Sacro. E nello spronare gli artisti e gli architetti non cede alla facile tentazione di chiamarli a gareggiare nel rappresentare il Sacro, ma piuttosto parla della Casa della fede come di uno spazio obbligato ad una disciplina antica e precisa, fatta di protocolli, rituali, procedure, percorsi, distanze antichi e precisi.



E così prosegue, quasi scusandosi: «Siamo ricorsi ai surrogati, all’ “oleografia”, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa, anche perché, a nostra discolpa, non avevamo mezzi di compiere cose grandi, cose belle, cose nuove, cose degne di essere ammirate … ». Il Papa sa che la vera porta d’ingresso alla dimensione del Sacro nasce dal controllo di una particolare disciplina del creare: quella di una composizione che rifiuta l’enfasi formale e il gesto mimetico di una sacralità ridotta a pomposità.



Questa consapevolezza ha fonti e riferimenti molteplici nell’ampia cultura del Pontefice. Eppure non ci è difficile riconoscere in quelle parole l’eco della sua esperienza milanese tra il 1954 e il 1963, quando da Arcivescovo di Milano decise e guidò la realizzazione di una corona di nuove chiese nei quartieri della periferia.



Anche allora, di fronte al grande tema della costruzione dei luoghi di culto per la comunità, il Cardinale Montini è prima di tutto il committente di una grande opera civile. Quello che chiede agli architetti milanesi è infatti prima di tutto la costruzione di una grande infrastruttura sociale e diffusa.



La realizzazione di nuove chiese e parrocchie nelle periferie milanesi – nel corso di una ricostruzione postbellica intensa e difficile, nell’equilibrio di una transizione demografica che stava già cambiando il Dna di Milano - è un grande progetto per la città. Un progetto insieme liturgico e sociale, che semina innesti di sofisticata architettura contemporanea nei quartieri della cintura periferica, per gran parte costruiti secondo un’edilizia greve e priva di qualità.



Montini chiama giovani e affermati architetti come Ponti, Gardella, Figini e Pollini, Morassutti e Mangiarotti, Magistretti. Chiede loro di progettare spazi di culto e socialità che nascono prima di tutto dallo studio attento del luogo, dei suoi bisogni, dalla considerazione delle domande provenienti dalla comunità dei fedeli.



Le chiese, le parrocchie realizzate in quegli anni a Milano su sua ispirazione sono ciascuna un microcosmo sapiente, dove la disciplina del sacro si incontra con l’inclusione sociale. La chiesa, il sagrato, l’annesso oratorio, la casa canonica sono spesso gli elementi di una composizione che usa il linguaggio dell’architettura moderna e razionale per comporre degli spazi di grande forza e semplicità.



Semplice e potente è la Chiesa di San Luca Evangelista, progettata da Giò Ponti ed eretta nella seconda metà degli anni cinquanta, con la grande lama di calcestruzzo rivestito da piastrelle di ceramica e lo sbalzo del tetto a due falde. Come il complesso della Chiesa dei Santi San Giovanni e Paolo, disegnata nei primi anni sessanta dalla coppia Figini e Pollini, con il mattone a vista che copre una complessa articolazione dei volumi architettonici.



La stessa forza sobria plasma la Chiesa di San Donato progettata di Ignazio Gardella nel 1962 immaginata come una grande capanna bianca. Per non parlare della straordinaria Chiesa di Vetro progettata nel 1958 a Baranzate da Mangiarotti e Morassutti con la facciata trasparente e la croce che anticipa l’andamento ortogonale del fronte.



Come ci ricorda Marco Sanmicheli, le chiese milanesi edificate su ispirazione del Cardinale Montini nel dopoguerra sono un modello di sofisticato equilibrio tra l’ordinamento liturgico ispirato dal Concilio Vaticano II e le ricerche compositive di una giovane generazione di architetti lombardi.



E l’esito di quella intuizione (simile eppure diversissima dalle scelte dell’arcivescovo Lercaro che in quegli anni a Bologna invitava architetti celeberrimi come Le Corbusier, Aalto e Tange a erigere nuove chiese) ancora oggi testimoniano nel corpo vivo delle città la svolta che Paolo VI e la Chiesa impressero al mondo con il Concilio Vaticano II.



Non a caso, nel 1964, Papa Montini incaricò Pier Luigi Nervi di realizzare un auditorium per le udienze - oggi noto come Aula Paolo VI o Aula Nervi - tra la sacrestia della Basilica Vaticana e piazza San Pietro. I lavori furono avviati nel 1966 e l'inaugurazione avvenne il 30 giugno 1971.
© RIPRODUZIONE RISERVATA