L'abbraccio alla Terra del Signore

L'abbraccio alla Terra del Signore
di Giovanni Maria Vian
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Venerdì 17 Ottobre 2014, 16:12 - Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 16:59
Mercoledì 8 maggio 1968. Da cinque giorni a Parigi alcune centinaia di studenti occupano la Sorbona: è l'inizio della contestazione giovanile, fenomeno che dagli Stati Uniti passa all'inizio in Francia e poi in altri paesi europei, dando così origine al Sessantotto.



In quel giorno di maggio, in Vaticano, il Papa sceglie l'udienza generale per un annuncio importante, anch'esso rivoluzionario: un suo prossimo viaggio in America latina.



Da quasi cinque anni Giovanni Battista Montini è Papa con il nome, inatteso e programmatico, di Paolo VI, e già ha compiuto cinque viaggi internazionali che hanno sorpreso il mondo. Una vera e propria rivoluzione, sulla quale in quel giorno di maggio il papa si interroga: perché il pontefice viaggia e qual è il significato di questa scelta? «Vuol dire, innanzi tutto, una sua riacquistata libertà di movimenti», e «ancora che la mobilità propria del costume moderno si insinua anche nelle abitudini piuttosto statiche della vita pontificia» risponde.



Ma soprattutto, continua Montini, questa novità vuol dire «che le vie del mondo sono aperte, anche logisticamente, al ministero del Papa: questo è molto significativo ed importante, e forse, con l'andar del tempo, potrà produrre notevoli cambiamenti nell'esercizio pratico del suo ufficio apostolico» dice anticipando il futuro. E aggiunge: l'«ipotesi d'una maggiore facilità di spostamenti locali della persona e dell'attività del Papa lascia intravedere una più intensa eventuale circolazione di carità nella Chiesa, resa possibile da un fenomeno di maggiore evidenza della sua unità e della sua cattolicità».



Nel corso di quasi venti secoli i vescovi di Roma hanno viaggiato molto, ma sono pochi a ricordare i viaggi, lontanissimi nel tempo, di alcuni pontefici a Costantinopoli, nella prima metà del VI secolo e poi agli inizi dell'VIII, viaggi di fatto obbligati nel quadro dei rapporti certo non facili con l'imperatore bizantino.



Molto frequenti, e a volte prolungati nel tempo, sono poi gli spostamenti papali nel corso del medioevo - nel Duecento si può addirittura parlare di un papato itinerante nell'Italia centrale - e quindi in età moderna.

Tutto cambia con la rivoluzione francese e l'epoca napoleonica, quando ben due pontefici vengono deportati in Francia, e soprattutto dopo la fine del potere temporale.



Dopo il 1814, infatti, per un secolo e mezzo i papi non lasciano più l'Italia, e dal 1870, per circa un settantennio, addirittura non oltrepassano i confini dei palazzi e dei giardini vaticani, dove il pontefice è di fatto recluso. Dopo la Conciliazione, quasi gite fuori porta sono quelle a Castel Gandolfo di Pio XI e Pio XII, che nel 1957 dalla residenza papale sul lago di Albano raggiunge Santa Maria di Galeria per inaugurarvi i trasmettitori della Radio Vaticana: è il viaggio più lungo del pontificato, meno di sessanta chilometri. Causa dunque sensazione nel 1962 il pellegrinaggio ferroviario di Giovanni XXIII ad Assisi e Loreto per affidare alla Madonna il concilio ormai imminente.



Chi segna l'inizio di una nuova era è, all'inizio del 1964, Paolo VI. Il primo viaggio è quello in Terra Santa - dove nessun successore di Pietro era più tornato - con un'iniziativa clamorosa e preparata in segreto che si concentra dal 4 al 6 gennaio, tra Amman, il Giordano, Gerusalemme e la Galilea (e che avrebbe dovuto comprendere anche una puntata in Siria, a Damasco dove fu battezzato l'apostolo di cui Montini aveva preso il nome, tappa però impossibile).



Durante il Concilio il Papa realizza due viaggi altrettanto clamorosi. Dal 2 al 5 dicembre 1964 a Bombay, da dove lancia un «grido angosciato» alle nazioni del mondo perché destinino parte della spesa per gli armamenti ai più poveri. Poi, dal 3 al 5 ottobre 1965, a New York, dove parla all'assemblea generale dell'Organizzazione delle nazioni unite: «Lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili, specialmente, che la scienza moderna vi ha date; ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli».



Dopo il Concilio Paolo VI completa il disegno simbolico dei nove viaggi internazionali che lo portano, per la prima volta nella storia del papato, nei cinque continenti. Il 13 maggio 1967 è a Fatima, poi, il 25 luglio successivo incontra a Istanbul il patriarca Atenagora, già abbracciato a Gerusalemme, e si reca il giorno seguente a Smirne ed Efeso.



Quindi, dal 22 al 25 agosto 1968, è appunto in Colombia, dove condanna le ingiustizie sociali. Il 10 giugno 1969 a Ginevra visita l'Organizzazione internazionale del lavoro e il Consiglio ecumenico delle Chiese. Poche settimane dopo, dal 31 luglio al 2 agosto, è la volta dell'Uganda, dove prega nei luoghi dei martiri cattolici e anglicani.



L'ultimo viaggio internazionale, dal 26 novembre al 5 dicembre 1970, tocca infine ben otto paesi: Iran, Pakistan orientale, Filippine (a Manila, dove viene ferito da un fanatico boliviano e dove visita Tondo, uno dei quartieri più poveri), Samoa orientali, Australia, Indonesia, Hong Kong e Ceylon.



Con il viaggio in Estremo oriente e Oceania si compiva così l'itinerario mondiale di Paolo VI. Che in qualche modo realizzava l'antica profezia ebraica citata nel decimo capitolo della lettera ai Romani dall'apostolo di cui Montini programmaticamente aveva preso il nome: «Per tutta la terra è corsa la loro voce e fino agli estremi confini del mondo le loro parole».
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