Il voto dei laender/ Se nemmeno ai tedeschi piace l’Europa della Cancelliera

di Alessandro Campi
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Lunedì 14 Marzo 2016, 00:02
Per cominciare, complimenti ai sondaggisti tedeschi. Nel voto di ieri in Germania (un passaggio amministrativo che ha coinvolto quasi diciassette milioni di tedeschi in tre diverse regioni) è infatti accaduto quel che si era pronosticato nei giorni scorsi: la significativa flessione dei due principali partiti, Cdu e Spd, e la grande affermazione dei populisti di Alternative für Deutschland. Trattandosi di elezioni locali e di territori della Germania assai diversi tra di loro, per popolazione e base socio-economica, bisogna naturalmente evitare di generalizzare troppo. Colpisce, ad esempio, la cospicua vittoria dei Verdi nel Baden-Württemberg. Governavano già questo Land con Winfried Kretschmann e ieri hanno visto crescere i loro consensi di quasi sei punti percentuali, arrivando a superare il 30%. Erano in coalizione con la Spd, che ha perso oltre il 10% dei voti ed è diventato il quarto partito con poco più del 12%. Ciò significa che il prossimo governo Kretschemann potrà formarlo solo insieme alla Cdu, drammaticamente tracollata - dal 39% al 27% - ma unica forza con la quale sia possibile far nascere una maggioranza. La prima “grande coalizione” tra centro ed ambientalisti sarà un esperimento da seguire con curiosità, anche perché pare non dispiacere alla stessa Merkel. Più che alle formule di governo converrebbe però guardare con attenzione ai cattivi umori popolari che questo voto sembra aver espresso.

 


La crescita del partito AfD guidato da Frauke Petry, ostile agli immigrati e all’Europa, parla chiaro: nel Baden-Württemberg ha raggiunto il 15%, nella Renania-Palatinato ha superato il 12%, mentre nella Sassonia-Anhalt (zona orientale della Germania) è stato votato da quasi un tedesco su quattro. Sempre più tedeschi temono che dietro il diritto d’asilo da concedere a chi fugge dalle guerre si nasconda un esodo migratorio che in prospettiva, se non regolato e frenato, potrebbe alterare gli equilibri sociali del Paese e metterne in crisi persino la forza economica. Ma la questione dell’immigrazione non va presa come argomento unico per spiegare la crescita dei populisti d’estrema destra. C’è probabilmente da considerare anche il fastidio degli elettori per formule come quella della “grande coalizione”. Che dovrebbe essere un fatto eccezionale e momentaneo: una risposta istituzionale ad una situazione di impasse politico-elettorale, adottata per garantire la governabilità.

Ma se diventa, come è capitato in Germania, una soluzione ricorrente e stabile ne risulta un effetto negativo duplice: da un lato i grandi partiti popolari finiscono per snaturare la loro identità e per somigliarsi sempre più sul piano dei programmi; dall’altro si alimenta chi denuncia la coabitazione tra destra e sinistra come una forma di spartizione del potere a danno dei cittadini. Il risultato complessivamente negativo della Spd rischia di rappresentare la fine delle ambizioni del suo leader Sigmar Gabriel per la corsa alla Cancelleria del 2017. Ma anche la Merkel ne esce oggettivamente indebolita in vista dello stesso appuntamento. Nel Baden-Württemberg, cuore produttivo della Germania e storico insediamento conservatore, la Cdu è il secondo partito per la prima volta nella sua storia.

Julia Klöckner, numero due dei cristiano-democratici, nella Renania-Palatinato non ce l’ha fatta contro Malu Dreyer, la governatrice uscente della Spd: erano date testa a testa ma quest’ultima è prevalsa con il 36% contro il 31%. E se è vero che la Cdu è decisiva per formare le coalizione in tutte e tre le regioni, è vero anche che avrà alla fine un solo governatore (nella Sassonia-Anhalt, la regione meno importante tra quelle in cui s’è votato). Peraltro in quest’ultimo Land, proprio a causa del grande successo della destra nazionalista e antieuropea, per formare un governo regionale sarà necessaria una coalizione a quattro tra Cdu, Spd, Verdi e i Liberali (sempre che questi ultimi ce la facciano a superare la soglia di sbarramento del 5%). Insomma, se questo era un test per la Merkel è andato decisamente male. La sua capacità di rassicurare i tedeschi sembra incrinata, paradossalmente proprio in una fase congiunturale che vede l’economia tedesca in grande crescita grazie all’aumento dei consumi interni. Ma le ansie sociali e le paure collettive, si sa, non dipendono dall’andamento del Pil.
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