Verso l'Eliseo/ Valls, il catalano freddo che sogna il trono di Francia

di Marina Valensise
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Sabato 3 Dicembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:15
Solo nel pomeriggio sapremo se Manuel Valls dichiarerà la sua candidatura alle primarie socialiste. Ottenuto lo svincolo dopo la rinuncia del presidente François Hollande a brigare per un secondo mandato, il premier francese è atteso a Parigi alla Convenzione della Belle Alliance populaire, che sovrintende le primarie del Ps in programma il 22 e 29 gennaio. Ma non è detto che approfitterà dell’occasione.

L’uomo è abile, guardingo, prudente. Oltre a non aver mai messo in discussione la lealtà nei confronti del presidente, nemmeno nel momento peggiore delle indiscrezioni affidate a due cronisti d’assalto, sa che bisogna dare tempo al tempo. Vietato giocare di anticipo. I falchi del partito, da Arnaud Montebourg l’alfiere della sinistra radicale che denuncia il fallimento della politica del governo, a Benoît Hamon, altro candidato alle primarie socialista, l’aspettano col fucile puntato. Vietato dunque fare passi falsi.

L’uomo è freddo e calcolatore. Da quando fa politica - cominciò nel 1997 come addetto stampa dell’allora premier Lionel Jospin - si è imposto con determinazione. «Assumo le mie ambizioni. Ribalto i codici. Vado fino in fondo alle mie logiche. Sono vicino al popolo contro le élite. A me nulla è impossibile», dichiarava l’ex studente di storia, appassionato di Napoleone, e oggi patito anche della dieta senza glutine e del “quantified self”, che tiene quotidianamente sotto controllo grazie alle applicazioni dell’Iphone da cui pare sia inseparabile.

Brillante, altero, lavoratore indefesso, non proprio simpaticissimo nonostante la strategia di seduzione (l’autobiografia della sorella eroinomane che lo santifica nel ruolo di fratello salvifico) e la necessità di piacere («metto una crema per dare ai capelli un po’ di movimento, si può anche essere carini…», rispose a un giornalista che indagava sulla sua brillantina), Valls è capace di scelte drastiche, come lasciare la prima moglie, madre dei suoi quattro figli, per accasarsi con una violinista di temperamento. Passionale, sguardo circolare con occhio azzurro sempre all’erta, ha il fascino un po’ ruvido del catalano, nato a Horta, quartiere di Barcellona, da un pittore antifranchista, Xavier Valls, molto amico di Vladimir Jankélevitch, che scelse di trasferirsi a Parigi, e di una ragazza ticinese minuta e dolcissima, Luisa Galfietti, che ancora oggi gli parla italiano. Valls, naturalizzato da quando aveva vent’anni, ha imparato i codici francesi nella mansarda sul Quai dell’Hôtel de Ville, dove viveva coi genitori in un palazzo della Mairie affacciato sulla Senna davanti alla Conciergerie.

Studente a Tolbiac, militante socialista della prima ora, ha percorso tutte le tappe del cursus honorum. Sempre un po’ hidalgo, un po’ brutale, decisionista e sferzante quanto basta, fedele al mito di Georges Clémenceau, che predicava l’emancipazione come frutto dei propri sforzi, per questo “bobo” (borghese e bohémien), purosangue catalano tifoso del Barça, il socialismo non ha niente di rivendicazionista e di settario. Moyen de parvenir? Direi che è soprattutto il giusto complemento per il progressista al passo coi tempi. Da qui l’apertura al mercato, alle riforme, al liberalismo, da qui una pedagogia politica ispirata a un sano pragmatismo, sia da deputato-sindaco di Evry, sia da ministro degli Interni e infine da premier di un presidente in caduta libera, dopo la batosta alle regionali del 2014. Fedele a se stesso e alle sue ambizioni, leale a Hollande, ma capace di franchezza, Manuel Valls, ormai solo con i suoi demoni, si prepara alla battaglia più difficile.

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