Usa, l'esercito cerca nuovi "Monuments Men", ma in Italia ci sono già da tempo

Una immagine tratta dal film Monuments Men con George Clooney
di Giulia Aubry
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Martedì 3 Febbraio 2015, 16:05 - Ultimo aggiornamento: 4 Febbraio, 20:30
L’esercito statunitense è alla ricerca della nuova generazione di Monuments Men. Magari meno belli di George Clooney e Jean Dujardin, ma sicuramente altrettanto esperti di arte e conservazione dei beni culturali dei personaggi da loro interpretati nell’omonima pellicola.

E soprattutto una generazione che includa anche delle Monuments Women, donne in grado operare in quelle aree di conflitto – dall’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria – che, oltre all’alto numero di vittime umane, hanno dovuto registrare la distruzione completa di opere d’arte uniche, come i Budda di Mamiyan, le opere conservate, il museo di Baghdad, la Grande Moschea di Aleppo e, più recentemente ancora, la chiesa verde di Tikrit e la biblioteca di Mosul.

Le guerre più recenti ci hanno tristemente abituato alla distruzione dei monumenti e dei beni culturali che costituiscono l’identità, l’appartenenza del gruppo etnico o religioso che si vuole distruggere. Dai Balcani al Medio Oriente, dall’Afghanistan alle regioni africane distruggere i simboli storici e culturali di un popolo equivale a eliminarne la memoria, il passato. Quasi non fossero mai esistiti su quella terra. Una strategia di “pulizia culturale” così consolidata da aver messo in allarme non solo gli organismi internazionali preposti a tale scopo, come l’Unesco, ma le stesse Forze Armate dei singoli paesi.



L’esercito statunitense, a partire dalla seconda guerra mondiale, ha sempre annoverato tra le sue fila ufficiali dedicati alle questioni “culturali”. Ma negli ultimi anni l’azione era basata prevalentemente sulla riposta contingente a specifiche situazioni e veniva affidate soprattutto alla buona volontà dei singoli, anche senza una specifica formazione professionale nel settore.



Con l’avanzare di gruppi estremisti come lo Stato Islamico però, l’esigenza di annoverare nelle fila delle forze armate veri e propri esperti di arte, restauro e conservazione è tornata a essere impellente. E da ottobre dello scorso anno si è deciso di assegnare 500 posizioni, in quel settore militare definito civil affairs (affari civili), a esperti di alto livello, qualcuno - come ha dichiarato il Generale di Brigata Hugh Van Roosen, intervistato dalla rivista The Art Newspaper – con un dottorato e dieci anni di i esperienza nel campo. Insomma “almeno” al livello di un direttore di museo.



Con tali numeri e tali skill richiesti è evidente che l’obiettivo dell’esercito statunitense è di formare, già a livello accademico, personale con competenze artistiche, archeologiche, storiche e un addestramento militare vero e proprio, «perché indossare la divisa significa essere in tutto e per tutto dei soldati». Proprio come i Monuments Men del film di Clooney. Con un compito in più. I Monuments Men della Seconda Guerra Mondiale preservavano oggetti, quelli odierni di fronte alla nuova strategia dei conflitti asimmetrici sono chiamati a preservare l’intera società, la sua memoria e la sua identità.

Ma gli statunitensi non sono i primi – o almeno non sono gli unici – ad aver sviluppato una sensibilità in questo settore. Il generale Van Roosen, nella sua intervista, parla di specialisti funzionali, una categoria di “riservisti” che provengono dal mondo civile, sono degli esperti nel loro settore e, al bisogno, possono essere richiamati per indossare la divisa nelle missioni all’estero. Una figura che, ormai da tempo, si è consolidata anche nel nostro paese con il ruolo delle cosiddette Riserve Selezionate, ormai presenti nella quasi totalità delle forze armate italiane. Questi civili in divisa possono, per specifici periodi temporali, essere chiamati a indossare la divisa ed essere impiegati nelle missioni all’estero. E tra loro ci sono numerosi Monuments Men e (soprattutto) Women che hanno prestato servizio in Iraq, nei Balcani e in Afghanistan lavorando a specifici progetti di recupero e restauro dei beni culturali messi a dura prova dai conflitti passati e in atto. Architetti, restauratori, esperti d’arte hanno avuto modo di collaborare con altri attori nazionali istituzionali che hanno operato in tali ambiti. Non ultimi i Carabinieri del Comando tutela Patrimonio Culturale cui è stato richiesto di lavorare dal luglio 2003 al gennaio 2004 presso il Museo Archeologico di Baghdad per raccogliere e censire i numerosi beni saccheggiati all’interno del museo nei giorni precedenti all’ingresso delle truppe alleate nella capitale irachena.



Senza andare oltre mare o ricercarli nella ricostruzione hollywoodiana, anche nel nostro paese – nei corridoi delle università, negli uffici dell’Arma – ci possono essere uomini e donne che cercano di non far morire il passato e la memoria e la cui storia merita di essere raccontata.