L'uomo della stabilità/Austria, il professore ironico che ha vinto la paura

di Marina Valensise
3 Minuti di Lettura
Lunedì 5 Dicembre 2016, 00:16
In Europa il populismo non è una fatalità, almeno non sembra esserlo. Di sicuro, non lo è in Austria, dove l’ecologista liberale Alexander Van der Bellen, candidato indipendente ma ex presidente dei Verdi, ha stravinto al ballottaggio delle presidenziali contro Norber Hofer.

Van der Bellen, sostenuto da gran parte del mondo politico e intellettuale sia di destra sia di sinistra (malgrado l’assenza di un appoggio esplicito del partito socialdemocratico, Spö, e del partito cristiano conservatore Övp), ha battuto Hofer, il candidato della Fpö, il Partito della liberà, e cioè l’esponente dell’estrema destra xenofoba e antieuropeista, che aveva fatto ponti d’oro al Fronte nazionale di Marine Le Pen e sognava di replicare a Vienna la doppietta della Brexit e del successo di Donald Trump, per conquistare tra due anni il governo come Cancelliere, dopo le legislative del 2018. 

E invece, l’Austria ha bocciato Hofer e la destra xenofoba e neonazista, votando per l’Europa e per la stabilità. Resta da vedere se e quanto questo “sì” dell’Austria all’Europa e alla stabilità riuscirà realmente a pesare, alla luce del del probabile successo del no in Italia al referendum sulla riforma costituzionale. 
Di fatto, in Austria, il professor Van der Bellen ha vinto con un’ampia maggioranza, oltre il 53% dei voti. Dunque, ha non solo confermato ma moltiplicato quello scarto di appena 31 mila voti con cui il 22 maggio scorso aveva già vinto una prima volta il ballottaggio delle presidenziali sconfiggendo Hofer, il quale poi, in seguito a irregolarità nel voto estero, è ricorso alla Corte costituzionale ottenendo l’annullamento del voto e nuove elezioni. Per vincere una seconda volta con tanto distacco, però, questo sapido settantenne, professore di economia e appassionato di letteratura russa, non privo di ironia e famoso per le lunghe pause nel rispondere agli intervistatori, ma anche per l’arte molto viennese del non mandarle a dire con esplosioni d’inaspettata aggressività («Lei di economia non capisce niente», ha replicato al flemmatico Hofer, per farlo uscire dai gangheri, e ancora: «Io sto parlando di Europa, E-U-R-O-PA, ne ha mai sentito parlare?» ) ha dovuto versare non poca acqua del patriottismo identitario nel suo europeista. 

Figlio di rifugiati, nato a Vienna nel 1944 (madre estone, padre aristocratico russo, discendente da una famiglia di luterani olandesi già scampata alle guerre di religione, e costretta nel 1917 a riparare in Estonia ancora indipendente per sfuggire l’avanzata dell’Armata rossa e poi in Germania nel 1940, quando l’Urss invade l’Estonia, e da lì a Vienna, ancora annessa al Terzo Reich), quando a Vienna arrivano i sovietici, Sasha Van der Bellen si trasferisce con la famiglia in Tirolo dove trova il suo Heimat, la sua patria, nel Kaunertal.

Quest’uomo austero, pacato, disponibile all’amore (si è appena risposato con una militante ecologista) non ha avuto difficoltà a tirar fuori la bandiere, a indossare gli abiti tradizionali tirolesi in una festa di paese, a insistere sui diritti e i doveri dei rifugiati, che devono adattarsi al modo di vita locale. Per conquistare il voto dei conservatori, doveva correggere l’immagine di candidato della sinistra agnostica e multiculturale, perciò tolleranza zero in fatto di sicurezza, restrizioni nell’asilo ai “migranti economici”. Dunque sconfitto dalle urne Hofer, il candidato della paura che inseguiva il sogno dell’Öxit, l’uscita dell’Austria dalla Ue, e mostrava la faccia feroce verso i profughi che continuano a affluire in massa dai Balcani, non è detto che la destra populista non finisca per dettare o quantomeno condizionare l’agenda europea. Le istituzioni dovranno tenerne conto. Se la vittoria di Van der Bellen è una boccata d’ossigeno, urge uno sforzo comune per riqualificare l’Unione e l’idea stessa di Europa.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA