Il compito dei quattro non è facile. Per tentare il rilancio dell'Unione dopo il referendum del giugno scorso che ha portato al divorzio con la Gran Bretagna, Gentiloni vuole inserire nella Dichiarazione romana il progetto politico dell'Europa a più velocità. O a geometria variabile. Ma la tensione, resa ancora più drammatica dallo scontro con la Polonia sulla rielezione di Tusk e il conseguente veto posto dalla premier populista Beata Zsydlo sulle conclusioni del Consiglio di ieri, è alle stelle. Perciò non è affatto scontato che oggi la riunione a Ventisette (l'inglese Theresa May non è invitata) si concluda con una fumata bianca.
«So che non sarà facile», ha detto ieri notte Gentiloni, «ma appare evidente che non possiamo stare fermi di fronte alle sfide, l'Unione non può muoversi con la velocità del vagone più lento. Chi ha una minore disponibilità all'integrazione va tenuto a bordo, ma questo non può impedire a chi vuole scegliere un passo più veloce di farlo». Una linea benedetta da Angela Merkel, da François Hollande, dallo spagnolo Mariano Rajoy e dai premier belga, austriaco, portoghese.
La Polonia e gli altri Paesi di Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) e lo stesso Tusk invece sono contrari a mettere nero su bianco il principio delle "più velocità". Primo, perché i diversi di integrazione sono già possibili, come dimostrano l'euro e Schengen. Secondo, perché temono che questa scelta del nocciolo europeista dell'Unione, nasconda l'abiura dell'allargamento a Est e l'intenzione di procedere sempre di più senza i nuovi arrivati. Del resto la Polonia & C. non hanno mai brillato in entusiasmo e solidarietà europeisti: emblematico il rifiuto ad accogliere i migranti sbarcati in Italia e Grecia. Ma hanno, invece, sempre battuto vigorosamente cassa per intascare fondi comunitari.
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