Ucraina, vertice per scongiurare il conflitto globale

di Francesco Grillo
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Domenica 8 Febbraio 2015, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio, 00:26
Potrebbe sembrare un paradosso che la tensione tra Russia e Ucraina, iniziata subito dopo il collasso dell’Unione Sovietica e proseguita per venticinque anni a colpi di cause miliardarie e interruzioni di metano, stia raggiungendo il punto più elevato proprio adesso. Adesso che il prezzo del gas ha perso più della metà del suo valore in un anno e la Russia sta per completare (nel 2018) la costruzione dei suoi gasdotti.



Quei gasdotti che dovrebbero metterla nella condizione di non far passare più per l’Ucraina le forniture di energia all’Europa dalla quale dipende la sua bilancia commerciale. che dovrebbero metterla nella condizione di non far passare più per l’Ucraina le forniture di energia all’Europa dalla quale dipende la sua bilancia commerciale. Del resto, non c’è praticamente nessun analista che riconduce alle dispute sul gas il conflitto che secondo il primo ministro russo Medvedev rischia di portarci vicino all’incidente nucleare che abbiamo evitato per settant’anni. Potrebbe sembrare un paradosso ma non lo è. Se cominciamo ad abituarci all’idea che, forse, sta per finire un mondo che era basato sul petrolio, nel quale era il petrolio e il suo prezzo a spiegare buona parte delle guerre e delle recessioni e ad esserne influenzato. Quell’ordine globale non è stato ancora sostituito, però, da una visione nuova e, in fin dei conti, i conflitti che stiamo vivendo possono esserne il pericolosissimo colpo di coda.

Nell’ultimo numero dell’Economist si legge che se in Arabia Saudita il trend di crescita dei consumi interni proseguisse e la redditività di ulteriori trivellazioni continuasse a declinare insieme al prezzo del petrolio, nel 2030 il Paese non avrebbe più una goccia di petrolio da esportare. Ciò metterebbe in ginocchio la monarchia per la quale sembra essersi fermato il tempo al medioevo, nonché lo Stato più stabile del Medio Oriente e quello che silente ne governa molte delle contraddizioni. E metterebbe fuori dal mercato che ha dominato per sessant’anni il Paese che produce più petrolio, nonché quello che ne ha le riserve accertate più estese. Questo forse sarebbe il colpo finale a una serie di drammatici rimescolamenti di carte che si giocano attorno a una frattura che corre tra Kiev fino a Tripoli passando per i set dello Stato islamico e arriva fino ai fornelli e alle pompe di benzina sotto casa. Ci sono almeno quattro trasformazioni potenti che rendono il crollo del prezzo del barile un elemento permanente che spinge il mondo a cercare un nuovo ordine mondiale. E nessuna di esse ha a che fare con l’esaurimento delle riserve che i catastrofisti avevano periodicamente previsto. Quella più famosa - lo shale gas che ha trasformato l’America in esportatore netto di metano e la sta avvicinando all’indipendenza - è anche la più piccola. Il gas da argille continua a rappresentare una quota piccola (inferiore al tre per cento) della produzione di energia mondiale, quota destinata a calare se il prezzo del petrolio rimanesse così basso. Anche se il Paese che ne ha maggiori riserve è proprio la Cina e se essa dovesse dotarsi delle tecnologie per ripetere il miracolo americano, ciò ne cambierebbe totalmente la politica estera finora dominata dall’ossessione di non rimanere senza benzina. Una rivoluzione ancora più grande sta avvenendo, però, nelle città dell’Occidente ed è cominciata almeno quindici anni fa: in Germania e negli Stati Uniti si consuma, oggi, una quantità di energia inferiore a quella consumata nel 2000, nonostante il fatto che in quindici anni il prodotto interno lordo delle due economie più forti dell’Occidente sia aumentato del 30%. Aumenta l’efficienza e diminuisce la quantità di energia che ci serve per produrre ricchezza: persino in Cina, se nel 1990 ci volevano più di 500 chili di petrolio per 1000 dollari di Pil, oggi, secondo la Banca Mondiale, ne sono sufficienti meno di 200. Del resto, come da anni consiglia Jeremy Rifkin, l’energia alternativa che costa di meno è quella che risparmiamo: le automobili presentano spazi di efficienza finora solo sfiorati. La bolletta del futuro sarà fatta di più elettricità necessaria a collegare telefoni e oggetti intelligenti (legati dalla nuova “rete delle cose”) e sempre meno carburante fossile per spostare motori a scoppio, destinati a essere progressivamente sostituiti con quelli elettrici che consumano dieci volte di meno. Infine, le fonti energetiche rinnovabili stanno diventando, finalmente, competitive, come dimostra l’aumento di risorse che vengono messe a disposizione delle banche d’affari per il settore. Ci stanno riuscendo più grazie alla ricerca di start up assai innovative che agli incentivi a pioggia degli Stati che miravano a creare artificialmente economie di scala. Il Medio Oriente – con le sue crisi infinite e spesso artificiali - perde centralità e anche il conflitto tra Palestina e Israele dovrà approdare presto nel mondo normale. La Libia rischia di ridiventare “solo” un esportatore di naufraghi e un deserto senza valore. La Russia perde molte delle sue armi di ricatto e la Cina potrebbe risolvere il suo problema strategico più grande. Dittatori che potevano accontentarsi di controllare i pozzi per alimentare patrimoni sconfinati, dovranno rassegnarsi all’idea di dover costruire economie basate sul talento e sul consenso dei propri cittadini. Certo, la storia non si fa solo con i trend di medio periodo. Nell’immediato proprio la prospettiva di non avere un futuro può portare a colpi di coda, a cercare di forzare la situazione prima di ritrovarsi senza forze. Ed è quello che spiega perché Putin ha scelto di attaccare proprio adesso. Per chi sta provando a chiudere un ciclo che non era più sostenibile, per gli Stati Uniti e l’Europa, la sfida è quella di concepire un modello alternativo. Di sostenerlo subito con decisioni coerenti chiamando il bluff di chi non ha più prospettive. Altrimenti il buco di visione lascia al posto di un ordine che si è sciolto, un disordine globale che può ancora – come insegna la teoria del caos – determinare esiti opposti a quelli verso i quali la ragione ci muoverebbe.