Turchia, scatta la repressione di Erdogan: 7mila arresti, cacciati 13mila dipendenti pubblici

Turchia, scatta la repressione di Erdogan: 7mila arresti, cacciati 13mila dipendenti pubblici
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Martedì 19 Luglio 2016, 08:52 - Ultimo aggiornamento: 09:32

Più di 7.500 arresti, oltre 13 mila dipendenti pubblici cacciati, purghe che non risparmiano più neanche la polizia e centinaia di migliaia di lavoratori statali bloccati in Turchia da un divieto di espatrio. Il presidente Tayyip Erdogan fa tabula rasa di golpisti e oppositori, promette una repressione sempre più dura e annuncia che, se il Parlamento la approverà, darà il suo ok alla pena di morte. Dopo il golpe fallito, il governo predica normalità, ma la Turchia appare sempre più sull'orlo dello stato d'emergenza. In queste ore, le foto shock di militari golpisti picchiati e umiliati invadono i social media e sconvolgono l'opinione pubblica. Mentre anche le strade tornano a macchiarsi di sangue. Due uomini hanno ucciso a colpi di pistola il vicesindaco di Sisli, una municipalità nel centro di Istanbul, membro dell'opposizione socialdemocratica Chp. Un altro attacco armato è avvenuto stamani vicino al tribunale di Ankara, dove testimoniavano i generali accusati del golpe.

Dopo i militari e giudici, il giro di vite ha raggiunto oggi le forze di polizia, di cui molti avevano inizialmente
sottolineato la fedeltà a Erdogan. Ma nelle sue purghe senza fine, il sultano ha trovato nemici anche lì. 8.777 dipendenti del ministero dell'Interno sono stati sospesi dai loro incarichi. Una cifra-mostre che include 7.899 agenti, costretti a restituire armi e distintivi, e ben 30 prefetti su 81, oltre a 614 gendarmi e 47 governatori di distretti provinciali. Nelle liste di proscrizione finiscono anche 1.500 dipendenti del ministero delle Finanze. Il senso dello stato di emergenza in cui versa la Turchia lo dà anche il clamoroso divieto di espatrio per i dipendenti pubblici, cui sarà pure vietato di abbandonare i propri uffici per ferie o altri congedi, fino a nuovo ordine. Provvedimenti che colpiscono oltre 3 milioni di persone.

Un clima che è già sfociato in atti di violenza armata incontrollata. A Istanbul oggi pomeriggio è stato ucciso in pieno giorno e in pieno centro Cemil Candas, il vicesindaco di Sisli, proprio nella sede del Comune. Contro di lui, hanno aperto il fuoco 2 persone, poi fermate. Poche ore prima, un militare aveva sequestrato un veicolo vicino al tribunale di Ankara, uccidendone il conducente. Anche lui è stato arrestato, per le autorità avrebbe disturbi mentali. Ma il caos è sempre più forte. Molti attacchi violenti si segnalano in tutto il Paese contro le minoranze religiose durante le invasioni serali delle folle islamiche nazionaliste, a cui Erdogan ha chiesto di non abbandonare le piazze. Attacchi sarebbero avvenuti anche contro giornalisti, mentre una ventina di siti web di opposizione sono stati oscurati dalla censura turca.

In questo clima di tensione alle stelle, Ue e Usa chiedono che la Turchia «rispetti la democrazia, le libertà fondamentali e lo stato di diritto» nella risposta al tentativo di golpe. Il premier Yildirim ha promesso di farlo, ma un ritorno alla pena di morte, verso cui Erdogan sembra sempre più incline, segnerebbe un immediato stop alle trattative con Bruxelles. Resta alta la tensione anche sull'estradizione di Fethullah Gulen, per cui Washington insiste di non aver ricevuto ancora alcuna richiesta, né le prove delle sue presunte responsabilità nel golpe. Dalla Nato, arrivano comunque rassicurazioni sul ruolo indiscutibile di Ankara.

Intanto, i misteri su chi abbia operativamente diretto il putsch fallito restano molti. L'ex capo dell'Aviazione Akin
Ozturk, accusato di esserne lo stratega, davanti ai magistrati ha continuato a negare ogni responsabilità: «Il capo di stato maggiore Hulusi Akar è testimone del fatto che non ho partecipato al golpe. Non posso dire chi l'abbia eseguito».

 

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