Trump: «Sequestrate quel libro su di me». Code per comprarlo

Trump: «Sequestrate quel libro su di me». Code per comprarlo
di Anna Guaita
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Sabato 6 Gennaio 2018, 10:22 - Ultimo aggiornamento: 14:20

NEW YORK «Ecco il libro che il presidente non vuole che leggiate». Il cartello compare dalla mezzanotte di ieri in tutte le librerie americane, che hanno subito registrato un'impennata delle vendite grazie all'intervento a gamba tesa di Donald Trump contro il libro Fire ad Fury del giornalista Michael Wolff. Dopo la diffida del presidente, l'editore Holt non solo non si è fatto intimidire, ma ha anticipato la vendita di 4 giorni. E dalla mezzanotte si sono formate file davanti a varie librerie rimaste aperte ben oltre l'orario di chiusura.
Per una volta, la carta stampata ha battuto il digitale: il libro-scandalo di Wolff che ricostruisce il primo caotico anno di presidenza di Trump, è arrivato sugli scaffali 9 ore prima che fosse possibile scaricarlo su Amazon. In compenso Amazon si è rifatto offrendolo in ben quattro versioni, sia in carta che in versione Kindle, sia in versione audiobook che su Cd.

CIOCCOLATINI IN OMAGGIO
Lo stesso autore del libro ha ironicamente ringraziato il presidente per le minacce che gli ha lanciato: «Dovrei mandargli una scatola di cioccolatini! Non solo ha aiutato la vendita del mio libro, ma ha confermato quel che ho scritto». Wolff cioè sostiene che le reazioni furibonde di Trump, la minaccia di trascinarlo in tribunale, i tweet sparati contro di lui provano che il presidente «ha perso il controllo».

Il giornalista ci ha tenuto a precisare che anche Steve Bannon, l'ex stratega di Trump ampiamente citato nel libro con dichiarazioni pesanti sulla famiglia presidenziale, è dello stesso parere pessimista circa la stabilità mentale del presidente. Wolff è stato intervistato ieri mattina dal programma Today della Nbc, dopo che nei giorni scorsi erano usciti vari estratti pepati del libro e poche ore dopo che era arrivato in libreria. Il giornalista, noto per essere un mastino che ha già al suo attivo altri libri-scandalo, non ha avuto peli sulla lingua. Trump aveva appena twittato sostenendo di aver dato zero accesso a Wolff, e la portavoce della Casa Bianca aveva aggiunto che il giornalista aveva intrattenuto solo brevi telefonate con Trump, ma Wolff ha risposto di avere trascorso tre ore con lui e di avere le registrazioni.
Wolff ha spiegato di aver avuto largo accesso alla West Wing della Casa Bianca, di aver parlato con decine di dipendenti, e di avere numerose registrazioni, oltre ad appunti. Ha anche detto che la totalità degli intervistati ha definito Trump «un idiota» o un «cretino», e che per tutti il problema è che il presidente «è come un bambino: vuole immediata gratificazione e pensa solo a se stesso». Quattro giorni dopo l'esplosione della bomba Fire and Fury, mentre Washington e il Paese ne digeriscono le clamorose rivelazioni, due sono i temi che dominano nelle analisi, e cioè se davvero Trump farà causa a Wolff e se davvero il presidente «abbia perso il controllo» e sia cioè nei primi stadi di una forma di senilità.

LE REGISTRAZIONI
L'idea della causa appare improbabile perché nel momento in cui il presidente trascinasse Wolff in tribunale per diffamazione, questi potrebbe tirare fuori le intere registrazioni delle sue interviste. Per di più, il presidente dovrebbe acconsentire a essere interrogato sotto giuramento. Quanto al suo stato cognitivo e comportamentale, la portavoce della Casa Bianca ha reagito sostenendo che «è vergognoso mettere in discussione le capacità mentali del presidente».

Ma molti nella capitale da tempo bisbigliano che Trump sembra spesso confuso, che i suoi tweet sono sempre più inappropriati, e che il suo eloquio è diventato elementare e ripetitivo. Tutto ciò dicono fonti della Casa Bianca sta facendo inferocire Trump. Ma per lo meno ieri il presidente ha avuto una notizia per lui buona: l'Fbi ha deciso di ascoltare le sue richieste e compirà nuovi passi nelle indagini sulla Fondazione Clinton.
Lo scopo sarebbe di accertarsi se non ci siano stati «quid pro quo» per i finanziatori della fondazione, quando Hillary Clinton era Segretario di Stato. Meno contento sarà invece del fatto che il New York Times ha rivelato che stanno venendo a galla ulteriori fatti che indicherebbero da parte sua un espresso tentativo di ostacolare le indagini sul Russiagate.
 

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