Usa, migranti: un muro anti-Trump. Proteste per la chiusura delle frontiere: i giudici bloccano i rimpatri

Usa, migranti: un muro anti-Trump. Proteste per la chiusura delle frontiere: i giudici bloccano i rimpatri
di Anna Guaita
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Domenica 29 Gennaio 2017, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 14:44

NEW YORK Donald Trump non fa marcia indietro. Pur essendo stato attaccato e criticato perfino da alcuni membri del suo stesso partito, ieri mattina ha ribadito i motivi per cui non solo vuole costruire il muro con il Messico, ma intende tenere fuori dagli Usa i cittadini di sette Paesi islamici, nonché tutti i profughi: «Il nostro Paese ha bisogno di confini forti e di estremi controlli, ora, e non del caos che c'è in Europa» ha twittato il presidente all'alba di ieri.
 

 


IL DECRETO
I suoi principali collaboratori sono poi comparsi nei programmi tv domenicali per gettare acqua sul fuoco, e sostenere che il decreto presidenziale non si può definire «contro gli islamici», perché vari Paesi islamici non vi sono inclusi. Reince Priebus, capo di Gabinetto, ha anzi detto che l'Amministrazione «non ha niente di cui scusarsi», e ha negato che ci sia stato il caos agli aeroporti nazionali e internazionali. Il decreto di Trump blocca l'accesso negli Usa ai cittadini di Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, e ferma le pratiche di circa 60 mila profughi che dovrebbero essere ammessi nel Paese. Un decreto respinto come «incostituzionale» dai procuratori generali di sedici Stati.

I CONTROLLI
Il New York Times ha ricordato che gli esami effettuati dagli Usa sono già tanto severi che degli 800 mila profughi che hanno trovato asilo nel Paese dal 2001 a oggi, i casi di sospetta radicalizzazione sono stati un massimo di 12. Molti dei sostenitori di Trump purtroppo questo non lo sanno: i siti di fake news negli ultimi mesi hanno diffuso dati clamorosamente falsi, e hanno aumentato il senso di allarme e paura. Migliaia di persone tuttavia hanno manifestato in sostegno dei profughi. Almeno 2 mila persone si sono riunite spontaneamente sabato sera a New York, quando si è diffusa la notizia che decine di viaggiatori erano state bloccati all'immigrazione, ed erano perfino stati ammanettati e detenuti pur essendo in regola con il visto. Simili manifestazioni improvvisate si sono avute in altre città e sono poi ricominciate ieri mattina in numerosi aeroporti degli Usa.

I MANIFESTANTI
Per ora i manifestanti hanno il sostegno di alcuni giudici, a New York, Boston, Washington e Seattle, che hanno sospeso il rimpatrio dei viaggiatori fermati agli aeroporti. Nel mondo politico il disagio è palpabile. Se è scontato che i democratici prendano posizioni molto forti, come la senatrice Elizabeth Warren che ha lamentato che Trump sta causando «l'erosione morale del Paese», per la prima volta in questa settimana di Trump alla Casa Bianca anche le voci dei repubblicani si sono fatte sentire. Il leader del Senato, Mitch McConnell ha ricordato: «Molte delle fonti importanti nella nostra lotta contro il terrorismo sono proprio musulmane». Il collega John McCain, ha aggiunto: «È un provvedimento confuso che può rafforzare la propaganda dell'Isis», e la deputata Barbara Constock ha lamentato: «Controlli severi certo, ma qui si va molto oltre».

Trump ha ricevuto critiche anche dagli alleati. Theresa May, la prima leader straniera a venire in visita ufficiale a Washington, ha fatto a mala pena a tempo a tornare a casa sua, e già si è dovuta dire in disaccordo con Donald Trump.

LA LEZIONCINA
Dal canto suo la cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto a Trump una lezioncina al telefono sul significato della Convenzione di Ginevra sui profughi, che gli Usa hanno sottoscritto nel 1967 e che li obbliga ad accogliere «profughi di guerra, su base umanitaria». Merkel, evidentemente preoccupata anche dalla preferenza che il decreto di Trump darà ai profughi cristiani a scapito di quelli islamici, ha aggiunto che anche «la necessaria lotta al terrorismo» non giustifica una misura che valuti le accoglienze «solo in base all'origine o al credo» delle persone.
Critico, ma in modo amichevole, il premier canadese Justn Trudeau, che ha promesso di aprire le porte del Canada ai rifugiati rigettati dal presidente americano. Il popolare leader canadese ha inoltre chiesto di incontrarsi con Trump per spiegargli il successo ottenuto dal suo Paese in materia proprio di rifugiati.

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