Blitz a Bruxelles, Salah preso vivo: il terrorista nascosto come un boss

Blitz a Bruxelles, Salah preso vivo: il terrorista nascosto come un boss
di Francesca Pierantozzi
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Sabato 19 Marzo 2016, 08:51 - Ultimo aggiornamento: 14:34

PARIGI Ci sono i venti, venticinque, forse addirittura trenta del «primo cerchio», i fiancheggiatori, i complici, quelli che hanno affittato le case, recuperato i contanti, comprato le carte telefoniche, confezionato le cinture esplosive, e poi ci sono tutti gli altri, il «secondo cerchio», i vicini di casa, i compagni di scuola, di carcere, di bevute, quelli che non si farebbero mai saltare per aria, non partirebbero mai per la Siria e nemmeno venderebbero mai alla polizia o allo stato un amico, che sia o meno il terrorista più ricercato d'Europa. Alla fine uno, uno solo, ha ceduto, su dieci, cento, che sapevamo dove fosse Salah. Uno solo ha parlato, quando ormai Salah era braccato.

TUTTI CON LUI Dietro gli attentati del 13 novembre e dietro la fuga di quattro mesi di Salah Abdeslam sembra esserci un quartiere intero, tutta quella Molenbeek che ieri sera tirava sassi sugli agenti impegnati ad arrestare l'unico terrorista vivo delle stragi di Parigi. «E' la prima volta nella storia di questo terrorismo islamico, che gli autori materiali di un attentato sono meno numerosi dei loro fiancheggiatori», spiegava ieri un esperto dell'antiterrorismo. Questo per il «primo cerchio». Nove terroristi del commando di Parigi sono morti negli attacchi, il decimo, Salah, è stato arrestato ieri con altri due complici, undici persone erano già state arrestate in Belgio, una in Francia, ma molte sono ancora ricercate. Almeno uno non ancora un nome: quello che ha lasciato una traccia di Dna sulla cintura esplosiva ritrovata in un cestino dei rifiuti a Chatillon, alle porte di Parigi, il 14 novembre. Con Salah forse c'era qualcun altro, quella sera.

LE 100 PERQUISIZIONI In quattro mesi, la polizia belga ha svolto più di cento perquisizioni, e aperto 23 «dossier connexes», ovvero connessi, ramificati. Significa che le perquisizioni hanno rivelato una rete che va al di là degli autori materiali degli attacchi e dei loro complici diretti. Una rete che si estende sopra quella dei fiancheggiatori, una rete più diffusa, che è sopra, o sotto, anche ai reclutatori dell'Isis, agli imam radicali. La sera del 13 novembre, mentre si spara ancora dentro al Bataclan, basta una telefonata a Salah per trovare due «amici» disposti a venirlo a prendere a Parigi, Mohamed Amri e Hamza Attou. La mattina a Bruxelles, è pronto ad aiutarlo un vicino di casa Lazez Abraimi e poi un ex compagno di scuola del fratello Ibrahim che si è fatto saltare in aria sul Boulevard Voltaire la sera prima, Ali Oulkadi. Ali lo accompagna in macchina a Schaerbeek.

Qui Salah s'infila all'86 della rue Henri Bergé, appartamento affittato, sotto falso nome, da Mohamed Bakkali, lo stesso che aveva affittato il covo di Charleroi, base dei kamikaze dello Stade de France, e che poi affitterà l'appartamento di Forest, dove Salah si è nascosto fino a martedì sera, quando la polizia è venuta a bussare alla porta. A Schaerbeek e a Forest, Salah non era solo; con lui c'erano almeno due o tre persone. Tra queste, Mohamed Belkaid, ucciso nell'assalto di martedì sera a Forest, noto come Samir Bouzid. Era stato lui a versare 750 euro a Hasna Boulahcen per aiutare suo cugino Abaaoud, organizzatore degli attacchi del 13 novembre, a trovare una nascondiglio a Saint Denis. Entrambi saranno uccisi nel blitz delle teste di cuoio del 17 novembre.

 

LE COPERTURE Al di là di questi nomi noti, legati direttamente all'organizzazione delle stragi, è la «connexion» marocchina di Molenbeek che ha coperto chi organizzava, prima, e chi fuggiva, dopo. «Sono stata a Molenbeek alcuni giorni fa - ha raccontato una degli avvocati delle vittime del 13 novembre, Samia Maktouf - per la strada la gente che incontravo mi diceva: è qui. Lo sapevano tutti. Tutti sapevano che Salah non si era mai mosso». Che si nascondeva lì, nel suo quartiere, a casa sua. «Molenbeek è un'enclave islamica» denuncia da tempo la giornalista belga Hind Fraihi che nel 2005 si è infiltrata per un lungo periodo negli ambienti radicali del quartiere. «C'è una popolazione molto giovane, con alto tasso di disoccupazione e criminalità. Il sindaco e molti responsabili politici mi hanno sempre detto che esageravo. Oggi non lo dicono più, ma non sarà troppo tardi?».

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