È così? Per condurre una battaglia vittoriosa, occorre studiare la mente dell’avversario con lo stesso distacco emotivo con cui Galilei osservava la caduta dei gravi. Più il nemico è temibile, più a lungo dobbiamo indagare il suo pensiero senza pregiudizi. Lo studio della crisi coreana ci conduce diritto a una conclusione: il dittatore della Corea del Nord è un uomo razionale che desidera la pace con tutte le sue forze.
Osserviamo i fatti e ragioniamo. Il deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Corea del Nord ha conosciuto una svolta il 29 gennaio 2002, quando l’allora presidente americano, George W. Bush, annunciò che l’Iraq e la Corea del Nord erano due “Stati canaglia” e, come tali, meritevoli di essere puniti. Un anno dopo, il 10 gennaio 2003, la Corea del Nord annunciava il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare per correre verso la costruzione della bomba atomica. Poi gli Stati Uniti invasero l’Iraq e accettarono di abbattere il regime di Gheddafi in Libia. Il dittatore della Corea del Nord ne ricavò due informazioni fondamentali. La prima è che gli Stati Uniti attaccano gli Stati nemici. La seconda informazione è che i dittatori anti-americani vanno incontro a una morte terribile.
Saddam Hussein morì impiccato mentre Gheddafi fu trucidato. Comprendere il funzionamento della mente di un capo di Stato non è difficile dal momento che funziona come quella di qualunque altro uomo. Quando un capo di Stato è minacciato di morte, la sua mente sviluppa una serie di strategie per paralizzare questa terribile emozione primaria. Occorre anche considerare che i dittatori, come tutti gli uomini, hanno la priorità di difendere la vita dei propri familiari. I figli di Gheddafi, per esempio, sono stati uccisi o arrestati. Il dittatore della Corea del Nord giunse alla conclusione che la bomba atomica fosse l’unico modo per prevenire un’invasione o un bombardamento americano. Finora, ha avuto ragione.
In tal modo, il dittatore della Corea del Nord non raggiungerebbe il suo fine che è quello di non morire come Saddam Hussein o Gheddafi. La sua unica possibilità di sopravvivere è la pace. Dal canto loro, gli Stati Uniti sono atterriti dalla guerra perché temono la devastazione di Seoul. Inoltre, nessuno dei due contendenti vorrebbe dare inizio al conflitto. Se la Corea del Nord premesse il grilletto, perderebbe il sostegno del presidente della Cina, Xi Jinping, che non vuole la guerra in un paese confinante. Se Trump attaccasse per primo, dovrebbe assumersi la responsabilità della guerra e la Cina si schiererebbe dalla parte della Corea del Nord, come il suo presidente ha lasciato intendere chiaramente.
Ne consegue che i tre protagonisti di questa angosciante crisi internazionale - Corea del Nord, Usa e Cina - hanno un interesse grandissimo a fare la pace e non la guerra. Senza considerare che, nel caso di un tavolo negoziale, la Cina assumerebbe quel ruolo di mediatore, invocato da Trump, che le consentirebbe di chiedere al presidente americano di rinunciare alla guerra commerciale anti-cinese più volte minacciata. La politica internazionale funziona come la vita quotidiana: nessuno dà niente in cambio di niente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA