Sull’Iran l’Italia può recuperare il primato giocando d’anticipo

di Romano Prodi
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Domenica 19 Luglio 2015, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 00:09
A cinque giorni dall’accordo sul nucleare iraniano vi sono elementi di conoscenza sufficienti per dare un giudizio più approfondito e meditato sulla portata dell’accordo stesso e sulle conseguenze che esso può avere nei confronti del nostro Paese. L’aggettivo “storico” attribuito al trattato non è un’invenzione dei media ma, almeno in questo caso, risponde alla realtà delle cose.



In primo luogo la novità riguarda i protagonisti dell’accordo. Da un lato, prima con la riappacificazione con Cuba e poi con questo trattato con l’Iran, il presidente Obama assume finalmente un ruolo più vicino alle aspettative che si erano create intorno a lui quando era diventato presidente. Così come in passato avevamo dovuto prender atto di una sua cronica incapacità decisionale in politica estera, ci troviamo ora di fronte ad un leader capace di trarre le conseguenze dei cambiamenti della storia e di costruire su di essi una nuova strategia internazionale. Dall’altro lato abbiamo un Paese-chiave del Medio Oriente che esce da un minaccioso isolamento durato oltre 35 anni, durante i quali ha giocato un ruolo ripetutamente pericoloso per gli equilibri di tutta l’area e spesso negativo per se stesso. Non è inoltre di importanza secondaria notare che, nella politica degli ultimi decenni, è la prima volta che una grande crisi dell’area mediorientale viene risolta con un accordo e non con la violenza.



Certamente, quando in una zona così turbolenta del mondo ritorna sul palcoscenico un paese di oltre ottanta milioni di abitanti, con una posizione geografica strategica, una società ed una cultura estremamente sofisticate e risorse naturali sovrabbondanti, tutti gli equilibri esistenti sono destinati a cambiare. Prima di tutto in meglio: le 159 pagine del trattato prevedono infatti accurate e continue ispezioni sotto controllo internazionale a garanzia del rispetto dell’accordo stesso. Anche se le vicende di politica interna israeliana giocano in senso contrario, io penso che questi controlli e l’impegno degli Stati Uniti proteggeranno gli israeliani più dell’equilibrio del terrore su cui si è fino ad ora fondata la loro sicurezza.



Un altro problema su cui riflettere sono naturalmente le possibile reazioni degli Stati sunniti, che mantengono da sempre una profonda ostilità nei confronti dell’Iran. I governi di Egitto, Arabia Saudita e Turchia hanno infatti goduto di una ininterrotta protezione da parte degli Stati Uniti, anche per la funzione di argine che l’America ha storicamente esercitato nei confronti della potenza iraniana. Nella classe dirigente dei paesi da sempre ostili all’Iran serpeggia ora una doppia paura: che gli Stati Uniti non svolgano più la tradizionale funzione protettiva nei loro confronti e, ancora di più, che l’Iran, liberato dalle sanzioni e con un’economia quindi più forte, impieghi le sue rinnovate energie nell’esercitare una funzione egemonica su tutta l’area, destabilizzando ancora di più l’intero medio-oriente. Anche se Qatar ed Emirati hanno reagito positivamente all’accordo, nei tre grandi Paesi sunniti del Medio Oriente le opinioni pubbliche hanno mostrato segnali di inquietudine nei confronti del governo americano che è stato il principale artefice del trattato. Sarà quindi necessaria da parte degli Stati Uniti una profonda politica di riassicurazione nei confronti di questi Paesi ed un’altrettanta attenzione nel convincere la parte della classe dirigente iraniana ancora contraria all’accordo che non si ripeterà quanto è avvenuto in Libia, dove la rinuncia all’opzione nucleare è stata premiata con un atto di guerra da parte delle potenze occidentali.



Per quanto riguarda in modo specifico l’Italia, basta ricordare che per decenni siamo stati il Paese europeo che più ha avuto rapporti economici e politici con l’Iran e che le recenti sanzioni hanno colpito noi più di ogni altro. Bisogna quindi operare con grande tempestività ed energia per ripristinare il ruolo che abbiamo ricoperto in passato. Non è un compito facile perché, nel frattempo, altri paesi che non hanno aderito al regime delle sanzioni o che le hanno abilmente aggirate tramite complesse triangolazioni, si sono fortemente insediati in Iran. D’altra parte l’esito quasi fatale delle sanzioni non è quello di bloccare interamente il commercio ma di distorcerlo: così è stato per l’Iran che, chiuso a Ovest, si è rivolto verso Est.



Apprendiamo perciò con piacere che, già dai primi di agosto, una importante missione politico-economica partirà da Roma per Teheran. È infatti opportuno cominciare subito per dimostrare che gli antichi rapporti di amicizia e di collaborazione esistono ancora, ma bisogna tuttavia tenere presente, prima di tutto, che l’ambiente competitivo è interamente cambiato e, in secondo luogo, che le risorse iraniane sono oggi rese sottili dal basso prezzo del petrolio, dai passati errori di politica economica e dalle stesse sanzioni. Bisogna quindi partire subito ma essere attivi in Iran in modo sistematico e nel lungo periodo, sia con la politica che con le imprese e le banche.

Il rapporto di vicinanza e di simpatia fra l’Italia e l’Iran ha resistito alle più gravi tensioni e divisioni ma, per tradurlo in nuovi commerci e nuovi investimenti, occorre organizzazione e perseveranza, caratteristiche non sempre sovrabbondanti nel nostro Paese. Resta tuttavia a nostro vantaggio il fatto che le imprese e i prodotti italiani sono singolarmente adatti alle necessità del nuovo Iran. Il che è almeno di buon auspicio.