La strategia/Riallacciare con la Russia per rendere stabile la Ue

di Giulio Sapelli
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Sabato 18 Giugno 2016, 00:05
Alla sua ventesima edizione, il Forum economico internazionale di San Pietroburgo quest’anno si è aperto all’insegna di una novità: per la prima volta l’evento si è arricchito di un Paese “ospite d’onore” e tale privilegio è toccato all’Italia. Una mossa intelligente, pensata da un ministro degli Esteri acuto come Sergej Lavrov e da un presidente determinato come Vladimir Putin, impegnato come non mai a spingere il suo Paese fuori dalla crisi economica in cui è immerso e che le sanzioni della Ue, fortemente volute dagli Stati Uniti, hanno accentuato. Diversificare le attività economiche e incrinare il cerchio di isolamento europeo è una priorità che Mosca cerca in ogni modo di perseguire, spaziando dai cieli della Siria ai toni meno esasperati in Ucraina.

«Capitalizzare sulla nuova realtà economica globale» è la parola d’ordine dell’edizione 2016 del Forum e la sua organizzazione riflette questo impegno, esaltando ancor più il ruolo potenziale dell’Italia: alla cosiddetta Davos russa sono attesi più di diecimila partecipanti provenienti da centotrenta Paesi e più di duemila giornalisti.
Nel 2015 sono stati firmati 205 contratti per un valore complessivo di 4,5 miliardi di dollari. L’interesse italiano spicca come non mai e molteplici azioni sono dirette a ridare fiato alle nostre esportazioni in Russia. Ciò è più che mai necessario: a causa delle sanzioni che l’Europa ha imposto al Cremlino per il suo intervento nella guerra in Ucraina, le relazioni commerciali tra Italia e Russia sono calate in modo significativo.


Basti dire che il nostro export verso il Paese guidato da Putin è calato del 31% dal 2013, subendo una perdita complessiva di 9,6 miliardi di euro. Eppure settori di punta del nostro “vero” made in Italy, ossia la meccanica ad alta tecnologia, l’energia, l’agro-industria, le infrastrutture e la finanza, sono strategici per la domanda russa e per la nostra economia nazionale, impegnati come siamo nella battaglia quotidiana per la ripresa contro la deflazione imposta dalla Germania all’Europa attraverso le sue rigidità.

A nessuno sfugge che al centro del summit c’è la questione energetica, perché è in Russia che verranno a delinearsi le più importanti rotte del futuro euroasiatico. Eni e Saipem presto potrebbero essere protagoniste della “resurrezione” del gasdotto South Stream, finalizzato a far arrivare il gas russo in Europa attraverso il versante meridionale, senza per questo danneggiare o interferire polemicamente con la necessità di completare il North Stream baltico-artico, che tanto impensierisce gli Stati Uniti ma che invece tanto sta a cuore alla Germania. L’Italia può giocare in questo campo un ruolo diplomatico essenziale per far sì che le diffidenze tra gli Usa e la Ue, e in primis tra Usa e Germania, siano superate in una più ampia visione che non vede incompatibile l’impegno della Nato sul suo fianco Sud del Mediterraneo e su quello Nord dell’Artico, garantendo sempre la continuità dei rifornimenti energetici. L’industria dell’energia collega chi produce e chi consuma e costituisce in tal modo comuni interessi laddove un tempo tali interessi parevano divergenti o addirittura conflittuali. Questa è stata la storia del mondo e sarà anche la storia dell’Europa: storia, però, ricordiamolo, che senza la Russia non sarà.
 
Per questo la presenza di Matteo Renzi, con il suo governo e le più grandi imprese italiane al Forum, assume un rilevante peso politico. Dopo l’ondata di sanzioni l’Italia è stata, di contro, la nazione europea che più di tutti ha mantenuto saldi rapporti con Mosca. Ieri ha avuto luogo l’incontro bilaterale tra Renzi e Putin. Esso segue quello di Milano di un anno fa in occasione di Expo 2015 e sarà strategico soprattutto in questo momento di terribile tensione europea sotto la spada di Damocle della Brexit, che rischia di alimentare ciò di cui oggi l’Europa ha meno bisogno: la conflittualità continentale e sul fronte euroasiatico, fronte che deve invece rimanere un punto fermo di riferimento per la funzione che, anche in caso di un’uscita del Regno Unito dall’Europa, quest’ultima deve continuare a svolgere, pena la sua disgregazione sul piano internazionale in primo luogo in Eurasia.
Bene ha fatto il presidente Jean-Claude Juncker a recarsi a Pietroburgo per incontrare Putin, è sicuramente un passo verso la normalizzazione dei rapporti. Peraltro, ciò non confligge con i principi dell’alleanza transatlantica, senza la quale l’Europa non ha un ruolo strategicamente rilevante nel mondo. Ma è proprio per aumentare tale ruolo nel campo geostrategico, prima che economico, che è necessario non dismettere mai i rapporti con la Russia. Il confitto si supera non isolando gli avversari, costringendoli spalle al muro con l’arma delle sanzioni, ma mettendoli in grado di dimostrare la buona volontà di cooperare anche nelle condizioni più difficili.
E le condizioni europee odierne sono più che difficili. Questo perché, quali che siano le geometrie variabili dell’equilibrio di potenza mondiale, Regno Unito e Russia sono due delle architravi di qualsivoglia assetto si voglia dare all’ascesa e al declino delle grandi potenze nel mondo. Ebbene: occorre essere in grado di affrontare tutte le possibili soluzioni del quesito Brexit a cui potremmo trovarci dinanzi.
Per questo la vera soluzione di lungo periodo non è quella di enfatizzare le asimmetrie esacerbando le divisioni. Essenziale è disinnescare ogni possibilità di veder incattivirsi le spinte nazionalistiche già così forti in Europa per la questione migratoria. Per questo migliorare sino a normalizzare le relazioni di questa Europa con la Russia - questa Russia e non un’altra immaginaria - è diplomaticamente l’unica strada benevolmente percorribile. Il principio di realismo è il solo principio da seguire in tempi difficili e di profondi cambiamenti.
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