Le richieste americane e il rispetto che meritiamo

di Massimo Teodori
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 19 Ottobre 2016, 00:05
L’incontro con grandi onori tra Barack Obama e Matteo Renzi sancisce il culmine di quella “relazione speciale” che unisce Italia e Stati Uniti. Una relazione che trova compimento nella politica estera, economica e militare ma riguarda anche il modo in cui si è formata l’America che, con le parole di Obama, «è forte e grande grazie agli immigrati italiani». L’apprezzamento del presidente americano per il premier italiano si è tramutato nell’auspicio che il “Sì” possa prevalere nel referendum costituzionale al fine di consolidare la stabilità politica, il valore più apprezzato dagli Stati Uniti.

Il più delicato dossier di cui si discute a Washington, insieme ai problemi dell’Europa di fronte alla Russia, ed alla liberalizzazione del commercio internazionale, riguarda quel che la coalizione occidentale dovrà fare contro il terrorismo in Medio oriente e nel mondo. Negli otto anni di presidenza la politica estera di Obama ha puntato sulla riduzione degli impegni militari nel vecchio continente e su una strategia basata più sulla diplomazia e la trattativa che non sull’uso della forza militare come nella tradizione dell’interventismo americano.

È per questo che l’amministrazione di Washington richiede un maggiore impegno militare degli alleati Nato e, in particolare, una più larga disponibilità italiana sul fronte libico. Al momento, però, non conosciamo quali sono le richieste specifiche di Obama all’Italia, e neppure quel che il premier Renzi vorrà rispondere.

Al di là della generica dichiarazione che «Italia e Stati Uniti, il cui legame non è mai stato così forte e profondo, cooperano a livello globale contro il terrorismo e per creare l’opportunità economica».

Va tenuto presente che i rapporti internazionali si sostanziano del dare ed avere, anche quando si confrontano un colosso come gli Stati Uniti e una nazione media come la nostra. Si può dire che finora l’Italia ha saputo equilibrare la necessaria lealtà all’alleanza con gli Stati Uniti, essenziale alla nostra collocazione internazionale, con la tutela della dignità e dell’orgoglio che non sono parole vuote ma valori da tutelare per il legittimo interesse nazionale.
Il governo ha già preso una serie di impegni all’estero in ottemperanza agli accordi con gli Stati Uniti e l’Onu. In Libia, dove sono presenti i nostri interessi energetici e nascono i drammatici problemi immigratori, abbiamo inviato una squadra di cento medici accompagnata da un battaglione di parà in funzione protettiva. Qualcosa di analogo è stato fatto nella regione di guerra di Mosul con l’invio di un contingente di 500 bersaglieri con il compito di tutelare il cantiere italiano che sta ristrutturando la grande diga sul fiume Tigri. Un altro gruppo di carabinieri, particolarmente apprezzati in ruoli civili, hanno l’obiettivo di addestrare le forze locali che pattugliano le città liberate dal Califfato senza funzioni combattenti.

Ad oggi questo è il contributo all’alleanza con gli Stati Uniti nello scacchiere dove imperversa il terrorismo. In tal modo il governo Renzi ha tracciato un chiaro confine tra le energie impiegate nel sostegno umanitario e nel mantenimento dell’ordine civile, e l’attività combattente da cui ci siamo tenuti lontani. Non perché vi sia un pregiudizio ideologico contrario, che non ha senso in tempi di offensiva terroristica, ma in quanto le forze, le risorse e l’interesse nazionale consigliano un’impostazione dei rapporti internazionali diversa dall’intervento bellico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA