Parigi, con Francia-Italia del Sei Nazioni di rugby lo Stade de France riapre dopo le stragi jihadiste: la vigilia tra paura e speranza

Tifosi in fuga dalle tribune dello Stade de France il 13 novembre 2015
di Paolo Ricci Bitti
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Venerdì 5 Febbraio 2016, 21:24 - Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 00:25
dal nostro inviato
PARIGI  Non un fiore, non una targa in avenue Rimet a ricordare in questa vigilia fredda e cupa Manuel Dias, il portoghese di 63 anni guidatore di bus dilaniato da Ahmad Almohammad, che si è fatto esplodere davanti al cancello H dello Stade de France nella maledetta sera del 13 novembre.

A ricordare l’unica fra le 130 vittime delle stragi jihdiste a Parigi caduta allo stadio durante l’amichevole Francia-Germania ci pensano così, poco più avanti, le profonde abrasioni nei tronchi degli alberi del viale e la “rosa” nel muro fra il Decathlon e il bar causate dai bulloni che il secondo terrorista-kamikaze aveva mischiato all’esplosivo della sua cintura-bomba, azionata davanti al cancello H. Solo feriti agenti e passanti: un miracolo 

Vengono in mente le ”rose” dei marciapiedi e nei palazzi di Sarajevo nella mattanza degli anni Novanta e rivederle qui, a Parigi, a 24 ore da Francia-Italia del Sei Nazioni, fa mancare il fiato.Troppa, troppa distanza fra questi pianeti.

Lo Stade de France è normalmente un luogo poco o punto entusiasmante, ancora di meno se paragonato agli allegri scenari dei carnevali del Torneo celebrati dal 1883 a Dublino, Cardiff, Edimburgo, Twickenham e, dal 2000, a Roma. La vista di questa astronave, atterrata nella banlieue di Saint Denis solcata da superstrade che si intrecciando in ogni dove, non ha mai appassionato le folle del Sei Nazioni, e  oggi viene subito voglia di andarsene appena si sbuca dalla stazione della Rer B. Il vento gelido si infila fra i casermoni, le nubi nere filano via a bassa quota e grigio è il colore di queste ore di attesa: a quasi tre mesi dall’eccidio lo Stade de France riaprirà per la prima volta i cancelli e proprio con il rugby del Sei Nazioni, che nell’arco di tre secoli si è fermato del tutto solo per due conflitti mondiali.

Ci saranno il presidente Hollande e il primo ministro Walls (nessuno è annunciato dall’Italia) per ribadire che la vita continua anche a costo di piazzare sui tetti 100 tiratori scelti e nelle strade mille poliziotti al posto dei soliti 100 (per il rugby) e 300 (per il calcio). E poi mille steward per filtrare il più in fretta possibile gli spettatori, meno di 60mila, ventimila in meno del solito tutto esaurito del Torneo.Fra di loro anche agenti dei servizi segreti.L’invito è non portare borse e zainetti per velocizzare i controlli che saranno arciaccurati.

«Ci sarò anche io - dice Hamed, 40 anni, della sicurezza del Decathlon - domani all’interno dello Stade. E c’ero anche la sera del 13 novembre, lavoro anche per la security dell’impianto: ho aiutato la folla a uscire con ordine dallo stadio al termine del match. Ecco, quel terrorista ha prima cercato di entrare dal cancello H, ma quando ha visto che l’avrebbero perquisito si è tirato indietro di qualche metro e davanti a quell’albero si è fatto esplodere. Ho visto il muro e il marciapiede solo il giorno dopo, quando erano già passati a pulire, ma le macchie di sangue ci hanno messo molto tempo a sbiadirsi. A ogni modo bisogna andare avanti. Domani è una bella occasione per riaprire questo stadio e passare una giornata all’insegna dello sport e dimostrare che non bisogna farsi cambiare la vita dai terroristi».

Sembra impossibile, ma nel via vai incessante di operai, tecnici, troupe televisive che entrano ed escono dai cancelli dello stadio (il principale è l’E), e anche tutto attorno all’impianto, non si vede un poliziotto, un vigile urbano. Da lontano ulula un’ambulanza. Arriva un camion dei pompieri, ma è solo per la sosta caffè. Non è che non ci si senta al sicuro, questo no, ma almeno un gendarme ce lo si aspettava.

Nei locali, comunque affollati, che hanno fatto da quinta ai terroristi (ce n’era un terzo, Bilal Hadfi, 20 anni, il più giovane, che non ha nemmeno tentato di entrare e si fatto esplodere a un chilometro dallo stadio) il personale non ha per nulla voglia di parlare.

Poi esce per una sigaretta Alain, 32 anni, parla anche un po’ l’italiano: «Guardi come sono arrivate in alto le schegge sul muro davanti al cancello H. Ed ecco i buchi nella corteccia degli alberi. Adesso fa un po’ meno effetto, ma si immagini quando erano andate in frantumi anche tutte le vetrate: sembrava di vedere quelle città siriane distrutte da Daesh. No, domani non sarò alla partita, ma è perché non sono tanto interessato al rugby, aspetto gli Europei di calcio. Paura? Certo, per molti giorni non è stato facile venire a lavorare passando a pochi passi dove quel folle si è fatto saltare per aria. Poi però che bisogna reagire anche se mi pare che questo atteggiamento richiesto alla popolazione non sia lo stesso messo in atto dal governo socialista che però guarda sempre più a destra per paura di farsi scavalcare dalla Le Pen: adesso si sente parlare di modifiche alla Costituzione per limitare alcune delle libertà che la Francia ha insegnato al mondo. Non mi sembra proprio il modo di reagire alla paura del terrorsimo jihadista. E poi è stata la Francia stessa che nel dopoguerra ha chiamato tanti immigrati a lavorare qui sistemandoli in periferie senza servizi, senza futuro».

Fa sempre più freddo e in viale Rimet proprio non si nota nulla che possa far pensare alla festa del Sei Nazioni fra poche ore. Se non fosse per piccoli tabelloni luminosi che ricordano i match del Torneo e quelli degli Europei di calcio nemmeno si saprebbe che questa giornata è una vigilia di speranza. Sono attesi anche cinquemila italiani, cifra-base costante di fedelli trainati in trasferta dalla nazionale di rugby nonostante le rarefatte vittorie.

Tra di loro anche Aristide Barraud, che italiano non è ma che in giugno sarebbe stato convocato dalla nazionale azzurra dopo aver terminato tre stagioni consecutive nel nostro campionato (francese sarebbe diventato, in altre parole, un equiparato). Barraud, rugbysta in Italia e studente di cinematografia alla Sorbonne, ha 23 anni ed è nato nella banlieue parigina anche se poi la famiglia si è trasferita a Massì, quindici chilometri a sud ovest dalla capitale. Gioca assai bene per il Mogliano nel ruolo invero complicato di mediano di apertura: molto cervello e altrattanta sesibilità nelle mani e nei piedi.

Il 13 novembre era con la sorella minore nei pressi del ristorante Petit Cambodge quando Salah Abdeslam e il fratello Ibrahim aprono il fuoco con i kalashnikov. Aristide e la sorella si salvano entrambi, ma è un altro miracolo: la ragazza ha un braccio maciullato e serviranno anni per recuperne appieno l’uso, il rugbysta sopravvive nonostante abbia un polmone perforato da una pallottola (e a tamponare la ferita è il chirurgo ex nazionale blue di rugby, Serge Simon). Ma una scheggia lesiona il tendine di Achille e le ossa di una caviglia di Barraud, sottoposto a un’operazione anche nei giorni scorsi. La tempra è forte, la volontà anche di più, ma solo nei prossimi mesi si saprà se il giocatore potrà di nuovo giocare ai livelli di prima riprendendo il sogno di una vita.

Nonostante sia sottoposto a questa attesa potete immaginare quanto crudele, Barraud ci ha messo la faccia anche questa volta, come aveva fatto nel gennaio 2015 dopo l’eccidio a Charlie Hebdo.
«Voglio ribadire - ha detto e ridetto anche durante una recente visita in Italia - che quanto è accaduto, compreso ciò che è capitato a me, che tutto questo orrore non deve farci abbandonare l’idea di una società basata sull’accoglienza e sulla condivisione. Bisogna affrontare la violenza con la ragione, bisogna salvare i principi della convivenza civile e dalla ricchezza dell’intreccio delle culture». Nel 2015 dei Mondiali di rugby in Inghilterra, in cui hanno brillato stelle assolute come Richie McCaw o Dan Carter, per Il Messaggero è Aristide Barraud il rugbysta dell’anno.

Pensando a lui sembra un po’ meno grigio il cielo sopra lo Stade de France che attende di riaprire.  
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