Ossessione tasse/Il vizietto di Bruxelles e lo spiraglio per l’Italia

di Osvaldo De Paolini
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Martedì 23 Maggio 2017, 00:44
Le parole più sensate ieri le ha pronunciate il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, secondo il quale «la ripresa c’è ma resta fragile: chiedere oggi un aggiustamento di bilancio troppo importante, rischierebbe di essere controproducente e di ostacolare la crescita».
Condividiamo: il fatto che l’inflazione resti bassa malgrado la politica monetaria accomodante della Bce, prova che nella zona euro abbiamo ancora problemi di domanda. Il che non smentisce il quadro più roseo delineato di recente da Mario Draghi; semplicemente invita a “non disturbare il conducente”, ossia i governi dei Paesi che più faticano ad allontanarsi dalla crisi, nella fase più delicata di accelerazione. Ed è in questo quadro che ieri la Commissione Ue, nel presentare le sue raccomandazioni sui bilanci del 2017, ha giudicato adeguati gli sforzi in più compiuti dall’Italia (la manovra bis da 3,4 miliardi) non ritenendo di dover sollecitare ulteriori misure e quindi indesiderate procedure di infrazione.

Alla buon’ora. Finalmente il buon senso ha fatto breccia anche nelle file degli eurocrati di Bruxelles. E se l’esito annunciato era atteso visti i segnali giunti nelle ultime settimane, il fatto che non siano stati indicati obiettivi cifrati per il 2018 (anno in cui per le norme comunitarie l’Italia dovrebbe ridurre il disavanzo strutturale dello 0,6% del Pil) prova che, di là dei bizantinismi dei testi ufficiali, il tema della flessibilità finalizzata alla crescita è finalmente sul tavolo dell’Ue in modo stabile.

Ciò detto, non è consigliabile sottovalutare l’appuntamento di metà ottobre, quando l’Italia dovrà sottoporre all’esecutivo comunitario la legge di bilancio 2018: l’entità del nostro debito, che ormai viaggia attorno a 2.300 miliardi di euro, è infatti tale che se non verranno presentati piani di finanza pubblica convincenti, la Commissione potrebbe irrigidirsi nuovamente fino a riproporre i rigori del Fiscal compact con le nuove e defatiganti battaglie di posizione cui saremmo costretti. 

Naturalmente il fatto che rispetto a tre o quattro anni fa i falchi del rigorismo abbiano perso capacità di incidere renderebbe la trattativa per noi meno onerosa; e tuttavia la possibilità che una politica monetaria meno accomodante ci colga a metà del guado con tassi in crescita più ravvicinata, e quindi con un aggravio degli oneri sul debito, suggerisce di correre ai ripari per tempo. Per almeno due ragioni.

Anzitutto perché, visto quanto sta accadendo sul fronte della legge elettorale, non è improbabile che a ottobre l’Italia sia nel pieno della corsa alle urne e quindi guidata da un governo che, abilitato alla sola amministrazione ordinaria, dispone di una forza contrattuale meno adatta a fronteggiare le burocrazie di Bruxelles. Sarebbe peraltro miope non cogliere i varchi di flessibilità che si sono aperti davanti a noi. In secondo luogo perché, per quanto ieri l’esecutivo comunitario abbia lasciato trapelare una disponibilità non usuale verso i nostri problemi, quando si è trattato di raccomandare nuove riforme e misure correttive da introdurre nel nostro ordinamento ha intonato il solito refrain sulla necessità di ripristinare la tassa sulla prima casa.

“Solito” perché son quasi due anni, ossia da quando il governo Renzi ha cancellato quella norma, che a turno gli esponenti della Commissione suonano quella musica. E a nulla vale ogni volta ricordare loro che, a differenza di quanto accade in gran parte dei Paesi europei dove domina il modello dell’affitto, per gli italiani l’investimento nella casa è la principale forma di risparmio. Perciò nessuna delle nostre maggioranze di governo si sognerebbe, specialmente oggi, di riproporre un’esperienza che, promossa dal governo Monti, per l’Italia si è rivelata devastante: un mercato immobiliare annichilito, un settore delle costruzioni (da sempre voce portante del Pil nazionale) in ginocchio, oltre 500 mila posti di lavoro bruciati e insolvenze a raffica per le imprese che non hanno retto provocando, quale effetto collaterale, il gonfiamento oltre misura dei crediti deteriorati nei portafogli delle banche. Insomma, non proprio una storia di successo.

Tant’è che se il mercato della casa ora si sta - per quanto lentamente - riprendendo, tra i motivi principali vi è senza dubbio la liberatoria cancellazione dell’Imu modello Monti.
Bene ha fatto perciò ieri il ministro Padoan a precisare prontamente che, di là delle ragioni economiche che in Italia sconsigliano un provvedimento in tal senso, «non è comunque una buona idea reintrodurre una tassa che è stata cancellata da pochi mesi».
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