Oltre la Siria/ Il terrore nutrito dalla polveriera mediorientale

di Raffaele Marchetti
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Giovedì 22 Dicembre 2016, 00:14
L’attacco di Berlino ci riporta indietro di sei mesi, al luglio di quest’anno, quando un’azione molto simile fu condotta sulla costa francese. 
In quel caso l’obiettivo diretto era l’assembramento di persone sul lungomare di Nizza, e l’obiettivo simbolico era colpire la Francia nel giorno della sua festa nazionale.
A Berlino l’obiettivo materiale è stato di nuovo un assembramento di persone ma l’obiettivo simbolico in questo caso è stato più ampio: colpire un mercatino di Natale, la festa cristiana per eccellenza, per colpire il cuore dell’Europa.La puntuale rivendicazione dell’Isis ci consente di sviluppare alcune considerazioni. In entrambi i casi le forze jihadiste vivevano un momento di debolezza interna. Il territorio controllato dall’Isis si va restringendo, Mosul è persa, Raqqa è assediata. Alla difficoltà sul terreno di battaglia medio orientale l’Isis ha sempre risposto con un rilancio terroristico in Occidente. Alle sconfitte militari si risponde con una campagna di attentati con grande valore comunicativo in modo da amplificare l’impatto, rinsaldare le fila e tamponare la possibile riduzione nel reclutamento di giovani jihadisti.
L’altro fattore da tenere a mente è la presenza sul territorio. Sia in Francia sia in Germania le forze jihadiste sono ben radicate. Il numero più alto di foreign fighters europei proviene da Francia, Gran Bretagna, Germania e Belgio: esattamente i Paesi che sono stati oggetto di attacchi terroristici. La disponibilità di uomini, la presenza di reti e strutture territoriali rende certamente più agevole la pianificazione e l’esecuzione degli attacchi.

Sembra molto improbabile che l’attacco di Berlino e quello che ha portato all’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara siano una pura coincidenza temporale. Più verosimile è che siano entrambi una recrudescenza del terrorismo che è in difficoltà, ma che è ancora capace di attaccare in modo asimmetrico ovunque e quindi di generare terrore generalizzato. La fine di questi attacchi non sembra ahimè essere vicina.
L’uccisione dell’ambasciatore russo, Andrey Karlov, fa pensare all’uccisione dell’ambasciatore americano, Chris Stevens, a Bengasi nel 2012. Allora come ieri ad essere attaccata è stata una grande potenza che era intervenuta militarmente negli affari interni di uno Stato musulmano e che ha pagato con il sangue di un suo diplomatico queste sue operazioni.

Sullo sfondo rimane la questione siriana, che sembra avviata ad una soluzione. È di ieri l’incontro a Mosca tra i rappresentanti di Iran, Russia e Turchia per gestire la situazione in Siria. Aleppo sta per essere completamente riconquistata dalle truppe lealiste e ciò imprimerà una forte accelerazione alle dinamiche sul terreno in tutto il Paese. I gruppi ribelli ad ovest sono in una fase di grande debolezza, così come lo è l’Isis ad est. Gli attori internazionali coinvolti nel conflitto si vanno ridefinendo. I Paesi del Golfo sono meno visibili, gli Stati Uniti sono indeboliti dalla fase di transizione presidenziale e l’Europa è silente. Sembra che la partita si avvii a conclusione con la vittoria del fronte lealista sostenuto dalla Russia e dall’Iran, al quale si è prontamente unita la Turchia pur di veder smorzate le ambizioni curde. Insieme ai curdi, gli altri grandi perdenti di questo probabile esito sono proprio i gruppi sunniti più o meno radicali che vedono allontanarsi la possibilità di estendere il proprio potere su un Paese chiave per gli equilibri mediorientali. È a questa macro-tendenza che dobbiamo guardare per spiegare meglio l’origine di questi ultimi drammatici attentati.
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