Questa volta gli elettori non hanno soprattutto apprezzato la politica aperta verso i profughi della Merkel, anche se è stata esercitata in nome dell’interesse nazionale che ha accolto milioni di siriani più facilmente integrabili in un ambiente sviluppato in quanto appartengono alle fasce istruite della popolazione in fuga dalla guerra.
L’incendio populista acceso dall’immigrazione islamica di massa si sta estendendo dai Paesi ex-comunisti a basso tasso di coscienza civile a quelli di più solida tradizione democratica. Dopo la Polonia con al potere il partito ultracattolico anti-europeo, dopo l’Ungheria dell’ultrà nazionalista Orban, dopo la Slovacchia del partito autodefinitosi nazional-socialista, ecco che tra i Paesi più democratici ad alto tasso di antieuropeismo fa ingresso la Germania che si affianca all’Austria con metà dei voti al candidato presidente dell’ultradestra, all’Olanda e alla stessa Francia di Marine Le Pen. Per non parlare dell’Italia dove tutte le forze classiche della democrazia sono in crisi.
Qual è, dunque, il segnale che indica il malessere economico, sociale, culturale e quindi politico che dalla Germania viene trasmesso all’Europa? E come deve essere interpretato il messaggio proveniente dalla nazione che sembrava godere del maggiore benessere nel cui segno faceva la voce grossa a Bruxelles?
Fin qui l’Europa di Bruxelles si è dimostrata sorda ai gridi di dolore provenienti dall’Italia che ha più di un motivo a protestare per il carico di immigrazione. Hanno avuto ragione i massimi rappresentanti europei a lanciare un Sos al G20 perché le potenze mondiali si occupino anche dei milioni di profughi che si riverseranno sul suo territorio ma i risultati della conferenza indicano che i governanti degli altri continenti sono del tutto insensibili ai problemi della vecchia Europa.
Allora dobbiamo interrogarci su cosa fare. Non basteranno, certo, dieci, cento, mille articoli a trovare la soluzione del problema degli immigrati che comunque non può essere affrontato con formule semplicistiche o ideologiche. Tuttavia suggeriamo di riflettere su alcuni temi specifici di casa nostra. In primo luogo non si può più accettare che la Germania imponga le sue regole economiche ai Paesi dell’Unione, pena lo sfascio della stessa integrazione europea che fin qui ci è costata tanta fatica.
In secondo luogo, e più importante, non è più possibile praticare una politica di accoglimento indiscriminato perché ormai siamo al punto di rottura in molti settori dell’opinione pubblica che sono pronti a raccogliere i frutti perversi che fioriscono in ogni angolo d’Europa.
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