Elezioni 2017/ Ma il vento Usa scuote l’asse Berlino-Parigi

di Marina Valensise
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Lunedì 21 Novembre 2016, 01:00
Desiderio di stabilità ed esperienza di governo continuano a ispirare le scelte politiche in almeno due dei principali Stati membri dell’Unione. Il vento nuovo della destra alternativa che si è abbattuto sulle presidenziali americane, ha messo in allerta la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Contro l’ondata del nazionalismo populista e anti immigrati scatenata in parte dalla sua stessa politica di apertura incondizionata ai rifugiati, la Bundeskanzlerin ha deciso di correre ai ripari e ha annunciato al suo partito, la Cdu, che intende brigare per il suo quarto mandato. Dopo undici anni al potere, e dopo la batosta dello scorso settembre alle elezioni regionali a Berlino, dove la Cdu ha perso 5 punti in percentuale rispetto al 2011, ottenendo il 17,5% dei voti, mentre l’AfD, partito della destra alternativa anti immigrazione e anti islamica, ha avuto il 14%, la signora Merkel si candida alla propria successione alle legislative del 2017. A 62 anni la cancelliera, dunque, aspira a riottenere la presidenza della Cdu dal congresso di dicembre. 

Nonostante le incertezze e i ritardi nel trattare e risolvere la crisi greca, nonostante la politica di austerity che fiacca l’economia di altri stati membri dell’Ue, nonostante i molti errori nel negoziato con la Turchia per tutelare gli interessi tedeschi prima che la concertazione europea, la scelta della Merkel viene considerata l’unica alternativa possibile dall’elettore medio della destra moderata. E persino fra i militanti della Spd la sua ricandidatura convince quasi il 40 per cento degli elettori. Gli unici ostili sono gli esponenti della destra alternativa e della sinistra radicale ecologista. Il quarto mandato agli occhi della Merkel rappresenta un argine contro la minaccia di instabilità politica che serpeggia nella democrazia tedesca e che incombe in tutta l’Europa del dopo Brexit in balia dello sfaldarsi dell’asse franco-tedesco durante la presidenza Hollande oltre che dell’incognita del nazionalismo populista.
D’altra parte anche in Francia la destra moderata si trincera dietro l’esperienza di governo per cautelarsi contro il rischio di nuove avventure. Ieri, infatti, il primo turno delle primarie dei Repubblicani, la federazione di partiti che riunisce la destra liberale, gaullista e cristiano democratica, ha premiato due volti noti per il ballottaggio: l’ex primo ministro di Sarkozy, François Fillon, che ha ottenuto più del 40% dei suffragi, e l’ex primo ministro di Jacques Chirac, Alain Juppé, cha ha avuto quasi il 30%. Escluso dal verdetto delle primarie l’ex presidente Nicolas Sarkozy. La partecipazione elettorale è stata cospicua, circa 3,9 milioni di votanti, dunque ben oltre i 2,66 milioni che nell’inverno 2011 avevano votato al primo turno delle primarie socialiste. Alle primarie del centro destra, lo ricordiamo, potevano votare tutti i cittadini francesi iscritti alle liste elettorali, a condizione di versare due euro e di firmare una dichiarazione di sintonia di valori per l’alternanza al potere. 

Ma, visto il principio nuovo delle primarie “aperte”, imposto da Fillon con la minaccia di secessione e per neutralizzare il richiamo bonapartista di Sarkozy, principio messo in opera da un’autorità indipendente, non è escluso che la scelta dei due finalisti sia stata influenzata, se non addirittura determinata, da elettori di sinistra infiltrati come Thomas Piketty, l’economista paladino dell’eguaglianza reale, che ha dichiarato che avrebbe votato per Juppé pur di sbarrare la strada a Sarkozy per scongiurare quindi il potenziale successo dell’estrema destra al secondo turno delle presidenziali. Così, solo dal ballottaggio di domenica prossima sapremo chi dei due candidati in pectore riuscirà a conquistare i voti del terzo escluso, e conosceremo il nome del candidato dei Repubblicani per le presidenziali della prossima primavera. Certo, il risultato del primo turno era nell’aria. Da giorni i sondaggi segnalavano la rimonta straordinaria di François Fillon. Resta da capire quale sarà adesso la strategia degli esclusi, a cominciare da Nicolas Sarkozy, grande sconfitto di queste primarie che non è mai riuscito a controllare del tutto. Se infatti per esistere politicamente e per candidarsi bisogna dividersi, per vincere bisogna essere uniti. 
E dalla concertazione dei prossimi giorni nasceranno gli accordi, le rinunce, il compromesso e i patti di non belligeranza essenziali al centro destra per spuntarla in primavera al primo turno delle presidenziali, contro un avversario in ascesa come Marine Le Pen che raccoglie i suffragi dell’estrema destra e lo scontento dell’estrema sinistra, e contro un concorrente insidioso come l’indipendente e dichiaratamente anti-establishment Emmanuel Macron, che punta a sparigliare il gioco, pescando sia fra i liberali delusi dai socialisti sia fra i moderati in cerca di un leader nuovo e più dinamico.
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