Marchio in crisi e zone d’ombra/La regìa delle reclute Isis

di Raffaele Marchetti
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Venerdì 24 Marzo 2017, 00:06
Perché non riusciamo a prevenire gli attacchi terroristici come quello di mercoledì scorso a Londra? A livello macro, gli attentati seguono una logica intuibile. E tuttavia è a livello micro che non riusciamo a capire con precisione le dinamiche di reclutamento.

Dinamiche di reclutamento e mobilitazione che sottostanno a questi fenomeni di radicalizzazione.
A livello individuale, una prima difficoltà ha a che vedere con il profilo degli attentatori affiliati all’Isis, profilo che ad oggi rimane molto meno definito se lo compariamo con quello dei terroristi di Al Qaeda. 
Al Qaeda ci metteva 3 o 4 anni per reclutare un nuovo terrorista attraverso contatti perlopiù personali. All’Isis occorrono in media solo 6 o 7 mesi per lo stesso scopo e spesso il processo è sviluppato in un ambiente neutro come internet da reclutatori che si è scoperto in alcuni casi essere adolescenti. Essendo veloce, poco visibile e controintuitivo il processo rimane più difficilmente controllabile.

Inoltre, il profilo del terrorista Isis è ad oggi ancora poco definito. Il profilo del terrorista di Al Qaeda era quello di un maschio tra i 18 e i 45 anni, proveniente dal mondo arabo o dall’Asia meridionale, con una visione panislamista e una prospettiva anti-occidentale, anti-coloniale e anti-imperiale.

I terroristi dell’Isis hanno identità molto meno circoscritte. Sono sia maschi sia femmine, provengono anche dal mondo occidentale, e hanno una prospettiva ideologica poco consolidata. Possiedono inoltre una conoscenza approssimativa dell’Islam: uno dei libri più acquistati dai futuri terroristi è “Islam for dummies” (“Islam per principianti”). Il 37% dei terroristi sono recentemente convertiti, ossia soltanto 7 o 8 mesi prima del reclutamento non professavano fede islamica. In questo senso la conoscenza e la profondità religiosa non si correlano pienamente con l’attività terroristica. Poiché la conversione avviene attraverso la prospettiva della redenzione («unisciti a noi e ti redimerai»), la categoria di persone con un passato criminale ha maggiore propensione a ritrovarsi in questa narrativa.

I terroristi Isis vengono poi spesso descritti come lupi solitari, ma anche qui occorre fare chiarezza. Sono lupi solitari perché agiscono da soli, ma non perché non siano integrati in una dinamica collettiva. Prima di tutto sono stati convertiti e formati da persone appartenenti all’Isis. Inoltre, non possiamo dimenticare che le azioni seguono istruzioni e modelli definiti dal centro. Gli attacchi non hanno solo una dimensione fisica di morte, ma anche una dimensione simbolica che è, se possibile, ancora più importante. Ogni attacco terroristico mira da un lato a diffondere la paura generalizzata all’interno della società, ma dall’altro tenta anche di mettere in discussione la solidità del contesto politico-culturale del Paese. 

In questo senso l’attacco a Nizza fu anche contro la festa nazionale francese, l’attacco a Berlino fu anche contro il Natale, e l’attacco a Londra è anche contro il Parlamento di Westminster, luogo per antonomasia della democrazia occidentale. Allo stesso modo anche le immagini di Roma e del Vaticano sono spesso utilizzate nella propaganda Isis proprio per il loro valore simbolico.

L’attacco a luoghi simbolici ci porta alla dimensione macro del terrorismo. L’Isis è in difficoltà sul terreno in Siria e Iraq. In una situazione di arretramento, il cosiddetto Stato Islamico ha bisogno di rilanciare la sua immagine per non perdere fette di mercato politico all’interno del mondo islamico e per poter continuare a reclutare con successo. È questo contesto che ci permette di capire meglio perché gli attacchi si sviluppano seguendo una logica politica ben definita. Ma anche allo stesso tempo il profilo vago dei reclutati che ci impedisce di mettere in atto misure preventive veramente efficaci.
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