I segreti del successo/ La favola del presidente che incanta i francesi

di Marco Gervasoni
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Lunedì 12 Giugno 2017, 02:16 - Ultimo aggiornamento: 02:17
Alzi la mano chi era disposto a scommettere, un mese fa, su un tale risultato per La République en marche di Macron. Molti prevedevano un parlamento senza maggioranza, all’italiana (e, oggi, all’inglese), quando non la coabitazione con i Républicains. Eppure bastava conoscere un poco la storia e le istituzioni francesi per prevedere il successo del partito del presidente.

La V Repubblica è in realtà un regime presidenziale, molto di più di quello americano. L’elezione centrale è quella che conduce all’Eliseo; dalle altre ci si può astenere, anche se mai come accaduto ieri: il non voto è il più alto dal 1958, il 50%. Quando il popolo si riconosce nel monarca repubblicano gli concede fiducia totale… almeno per un po’ e nella storia il partito del presidente ha quasi sempre aumentato i voti alle legislative rispetto ai consensi piovuti un mese prima sul suo candidato.

Tutto nella norma, allora? In parte. Se il risultato sarà confermato al ballottaggio ci troviamo di fronte a qualcosa di clamoroso, e non solo per i 400 seggi accreditati a La République en marche. Perché Macron al primo turno delle presidenziali era un novizio arrivato solo al 20%, perché buona parte dei suoi candidati non sono politici di professione, perché l’impennata dei voti si è prodotta a fronte di un quantum ridottissimo di promesse, se non a una vaghezza di propositi, da parte del presidente e del suo primo ministro.

Di questi tempi però tali fattori, che in passato avrebbero giocato contro Macron, sono diventati una delle chiave del suo successo: la novità della sua persona, l’afflusso della cosiddetta società civile nella politica - un unicum nel caso francese - hanno intercettato lo spirito di rigetto e di rivolta che anima gli elettori occidentali ma incanalandolo in un alveo istituzionale. Quanto alle scarse promesse e alle vaghezza: in passato i suoi predecessori appena eletti si sono dimenati in gesti di rottura, fortemente polarizzanti e “identitari”.

Al contrario, Macron si è espresso più sulla politica estera, in direzione “gollisto-mitterandiana”, mentre il suo governo si è mosso con discrezione, solo sfiorando i dossier più scottanti. Alla base di tutto c’è quella che gli antichi greci chiamavano mètis, l’astuzia (ma anche perfidia) una condotta che ha portato lo storico francese François Hartog a paragonare Macron a Ulisse. Quanto di più astuto infatti che essere eletto con i voti socialisti ma poi nominare un governo in cui il premier e i principali ministri sono di destra? Macron sapeva infatti che il principale ostacolo sulla strada della maggioranza assoluta erano i Républicains: li ha divisi, costringendo quelli a lui ostili a una campagna in piena crisi di identità.

Arduo per loro arringare contro un governo che, finora, sul piano economico appare molto più liberale che socialista, più Juppé che Hollande. Quanto al partito dell’ex presidente, era già morto tempo prima delle presidenziali: i suoi candidati, come i cavalieri senza testa di Ariosto, hanno menato confusamente colpi a destra e a manca per recuperare elettori che li avevano lasciati per sempre. Difficile fare campagna contro il presidente, ha detto un candidato, quando gli elettori «non hanno occhi che per Macron».

Una fascinazione che ha colpito un po’ tutti. La virata a destra del presidente poteva infatti sulla carta rafforzare Mélenchon da un lato e Le Pen dall’altro. Il primo ha cercato di svelare il vero volto di Macron, rosso (o, almeno, rosa) fuori e bianco dentro. Le Pen invece ha calcato sul tradimento della destra dei Républicains, sperando di portare con sé elettori conservatori delusi dall’abbraccio scoperto o implicito dei Républicains.

Non sembrano però aver convinto neanche tutti quelli che avevano votato per loro, visto il pesante calo rispetto alle presidenziali - e l’autentico disastro per il Front national. Per il momento, l’astuzia del monarca repubblicano l’ha fatto, più che vincere, trionfare. Non di sola astuzia però può vivere il leader politico. E che a votare siano andati la metà dei francesi indica che l’entusiasmo è contenuto, o che almeno coinvolge solo una parte del Paese. Gli elettori oggi sono volubili, rimangono presto delusi. E i francesi, che nella loro storia hanno terremotato caterve di regimi, più di tutti.
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