Libia, via ai raid degli Stati Uniti: «Pesanti perdite per il Califfato»

Libia, via ai raid degli Stati Uniti: «Pesanti perdite per il Califfato»
di Anna Guaita
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Martedì 2 Agosto 2016, 09:34 - Ultimo aggiornamento: 3 Agosto, 08:26

NEW YORK Dopo l'Iraq e la Siria, da ieri mattina gli Stati Uniti hanno aperto un altro fronte nella guerra contro l'Isis. Bombardieri e droni sono calati sulla città di Sirte, in Libia. Il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha aspettato a commentare e spiegare i fatti, dando la precedenza al primo ministro libico Fayez Serraj, capo del governo di unità nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite. È dunque toccato a Serraj dare la notizia, con un discorso in tv nel primo pomeriggio: «Oggi sono cominciate le prime missioni aeree americane contro postazioni jihadiste» ha detto il premier libico, che ha anche precisato che nella città occupata dai terroristi ci sono state «pesanti perdite». Non è chiaro se fra queste si contino anche civili innocenti, ma si sa che da quando l'Isis è calata sulla città nel giugno del 2015, la popolazione è in gran parte fuggita.

LO STALLO
Centinaia di terroristi sono già stati uccisi nell'offensiva mossa contro Sirte da parte delle milizie di Misurata, le truppe fedeli al governo. Ma l'offensiva è ferma da settimane, bloccata dalle mine nascoste lungo le strade e dai cecchini che stanno decimando le truppe lealiste. Le milizie di Misurata hanno già perso oltre 300 combattenti, e molte centinaia sono rimasti feriti. Ed è stato per questo che il governo di Tripoli ha dato il suo consenso all'intervento americano: «Abbiamo chiesto il sostegno diretto degli Stati Uniti, per un periodo di tempo limitato e senza l'impegno di truppe di terra» ha spiegato il premier Serraj, che allo stesso tempo ha insistito che il suo governo rifiuterà ogni forma di «ingerenza» straniera.

La missione contro Sirte è di estremo rilievo politico sia per il governo di Tripoli sia per Barack Obama. Riuscire a scalzare il gruppo terrorista è di importanza cruciale perché la Libia possa rimettersi in piedi finanziariamente e politicamente e il governo di Sarraj sopravviva. Riconquistare Sirte avrebbe un valore strategico e morale pari alla riconquista di Falluja in Iraq lo scorso giugno. Dal canto suo Barack Obama, memore che il bombardamento contro la Libia di Gheddafi nel 2011 finì con un Paese spaccato e nel caos, è stato restio a muovere un singolo aereo senza avere la collaborazione a terra sia di un governo affidabile, sia della popolazione locale.

LA PREPARAZIONE
Di fatto, sappiamo che il Pentagono preparava questa offensiva da almeno un mese, ma non si è mosso fino a quando è arrivata la richiesta ufficiale di Tripoli. Non solo: i bombardamenti sono stati condotti sia da aerei pilotati che da droni, ma solo contro bersagli indicati da terra dalle truppe di Misurata e identificati dal governo di Tripoli: nessuna improvvisazione, piena collaborazione. È ovvio poi che un successo contro l'Isis in Libia è molto desiderato da Obama, che ha ammesso di considerare i bombardamenti del 2011, il suo «peggiore errore».

UN AIUTO PER HILLARY
Dopo i successi che sta riportando sia in Iraq che in Siria, contribuire a liberare la Libia sarebbe per il presidente un modo di dimostrare al suo Paese e agli alleati che una vittoria totale contro l'Isis è possibile. E inoltre rafforzerebbe la posizione elettorale di Hillary Clinton, indebolendo invece quella di Donald Trump, che continua ad accusare la Casa Bianca di non fare abbastanza contro il califfato terrorista. Certo è che quando occuparono Sirte, i jihadisti dell'Isis erano circa 5 mila, e oggi si calcola che ne siano rimasti meno di mille.

GLI OBIETTIVI
I bersagli delle operazioni di ieri sono stati descritti dal portavoce del Pentagono come «infrastrutture, armi di calibro pesante, carri armati, centri di comando e controllo». Peter Cook ha aggiunto che nel bombardamento sono stai usati «proiettili di alta precisione», e che i bombardamenti continueranno «per aiutare le truppe di terra a ottenere una vittoria strategica decisiva».

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