IL RUOLO DI TRIPOLI
Di certo, ad agire è stato qualcuno molto ben organizzato, visto che il gruppo è stato capace di penetrare all'interno del compound del gasdotto Greenstream, il più grande metanodotto sottomarino in esercizio nel Mediterraneo, dove lavoravano come addetti alla manutenzione. Un particolare questo, oltre all'estrema vicinanza di Mellitah a Tripoli che preoccupa governo ed intelligence per il prezzo «politico» che l'Italia potrebbe trovarsi costretta a pagare per ottenere il rilascio dei nostri connazionali.
Come già è avvenuto in passato e sicuramente nel recente caso del rapimento del medico Ignazio Scaravilli, l'Italia potrebbe essere costretta a chiedere aiuto al governo di Tripoli per stabilire un contatto con i rapitori. Per una serie di ragioni, che vanno dalla composizione politica di quella amministrazione alla presenza sul territorio, è possibile anche che siano in grado di aiutare Roma. Ma qui sta il punto: in cambio, potrebbero chiedere al nostro paese di aiutarli nelle trattative con le Nazioni unite. Lo scorso 12 luglio, il rappresentante speciale dell'Onu Bernardino Leon ha siglato un'intesa con il governo avverso, quello di Tobruk, e alcune tribù ma escludendo Tripoli. E in queste ore anche il ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni, si è espresso a favore di sanzioni contro il governo tripolino della coalizione “Alba”. Ora, e finché i quattro italiani non saranno tornati a casa, Roma potrebbe essere costretta a fare un passo indietro. Non è un caso se domani Leon arriverà nella capitale per incontrare Gentiloni.
SEGNALE ALL'ITALIA
Ad avvalorare l'ipotesi che siano coinvolte milizie vicine al governo di Tripoli, anche l'emittente araba al Jazeera. Secondo fonti militari citate da al Jazeera, i responsabili potrebbero essere miliziani armati vicini a Jeish al Qabali, l'Esercito delle tribù, ostili a Fajr Libya, la fazione islamista che ha imposto un governo parallelo a Tripoli che si oppone a quello di Tobruk, l'unico riconosciuto a livello internazionale. Le stesse autorità di Tobruk, dopo una riunione sulla vicenda, hanno reso noto di «ignorare al momento quale gruppo ci sia dietro», e hanno condannato il sequestro come «lontano dall'etica dei libici». Molto esplicito sull'argomento è stato l'incaricato d'affari dell'ambasciata libica presso la Santa Sede, Ali Rugibani che però rappresenta solo il governo di Tobruk. Dietro il sequestro, ha detto all'Adnkronos «potrebbero esserci le milizie islamiche di Tripoli», il cui obiettivo è «fare pressioni sul governo italiano» per il ruolo svolto nei colloqui di pace sulla crisi libica. Anche se poi ha aggiunto: «Ancora non è chiaro esattamente cosa ci sia dietro né è possibile affermare con certezza chi sono i responsabili (del sequestro, ndr)». Il ministro Gentiloni, dal canto suo, ha immediatamente smentito che il sequestro sia «un segnale all'Italia».
FASCICOLO IN PROCURA
Intanto, un fascicolo di indagine è stato aperto in procura a Roma. Il pm titolare dell'indagine Sergio Colaiocco ha avviato i primi accertamenti per sequestro di persona a scopo di terrorismo e ha affidato ai carabinieri del Ros la ricognizione iniziale. A dare notizia del rapimento dei quattro italiani provenienti da Enna, Siracusa, Roma e Cagliari, è stata la stessa azienda per la quale lavorano, la Bonatti. I quattro tecnici poco dopo essere rientrati dalla Tunisia, nel compound della Mellitah Oil Gas Company. Su facebook alcuni dipendenti ed ex colleghi hanno fatto circolare l'immagine di uno striscione: «Freedom (libertà) for Gino, Filippo, Salvo e Fausto».