La sfida del fondamentalismo si può vincere con la ragione

di Andrea Margelletti
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Sabato 16 Settembre 2017, 00:25
Prima ancora che uno degli organi di propaganda dello stato islamico rivendicasse la paternità dei fatti di Londra, la nostra mente era corsa veloce a quell’acronimo: Isis.

È diventato, purtroppo, un riflesso incondizionato della nostra paura di cittadini che hanno visto, nel corso degli ultimi due anni, la propria quotidianità messa in discussione da una minaccia che abbiamo addirittura dovuto identificare con la parola Stato. Infatti, è lo Stato Islamico quello che ha modificato la nostra percezione, minacciandoci mentre siamo al ristorante o per strada o ad un concerto, toccandoci in qualcosa che abbiamo di molto caro: le nostre abitudini.

<HS9>E lo ha fatto togliendoci delle certezze. Se prima avevamo la faccia beffarda di bin Laden a farci presente quale fosse il nostro rischio, Baghdadi ha avuto la lucidità di rendere liquido il terrore. Il suo volto non è più apparso dal famoso sermone tenuto nella moschea di Mosul all’indomani della presa della città da parte di Isis, ma è stato sostituito da video di vera e propria propaganda, dove la comunicazione della minaccia è stata trasferita su immagini e simboli più subdoli e terrificanti.

Da quelle che erano le proprie roccaforti a cavallo tra Siria e Iraq, la leadership dello Stato islamico ha portato avanti un ampliamento del concetto di terrorismo di stampo salafita, sciogliendolo dalla necessità di una struttura e rendendo l’ideologia più semplice e alla portata di tutti. 
<HS9>Quel legame giustificazionista con la religione che bin Laden e, soprattutto, Zawahiri, ricercavano spasmodicamente con ampi studi teologici è venuto meno per rendere l’idea alla base del terrorismo salafita più semplice e comprensibile anche per coloro che di principi religiosi conoscevano ben poco. Questo ha reso possibile due cose. La prima, che un numero sempre maggiore di persone abbia deciso di recarsi a combattere nelle fila dello Stato Islamico in Siria, i famosi foreign fighter che hanno imparato ad arrivare non solo da un villaggio difficile da trovare anche su Google Maps, ma dalla porta accanto alla nostra. La seconda, la diffusione della radicalizzazione di giovani musulmani, e non solo, anche in Europa, senza necessariamente una rete di imam affiliati alla causa, ma grazie ai soli strumenti di propaganda utilizzati dalla leadership dell’Isis. In questo modo, la cieca ideologia si è fatta alla portata di tutti, mero strumento di terrore che non ha più necessariamente bisogno di una struttura di supporto alle spalle per seminare terrore. Con l’avvento dello Stato Islamico non è stato più il numero di morti causati dal terrorismo a farci paura, ma l’insicurezza della nostra vita di tutti i giorni. Anche gli obiettivi sono cambiati nell’accezione di “sensibile”. Non ci sono più luoghi simbolo da colpire, ma solo l’obiettivo di minare alla base la sicurezza delle nostre città.
 
<HS9>Nonostante lo Stato Islamico abbia anche basato la propria forza sull’accento posto sul controllo e sull’amministrazione del territorio, non vi è dubbio che le modifiche ideologiche che ha apportato al campo del jihadismo internazionale sono profonde e possono sopravvivere alla sua sconfitta territoriale. Il germe dell’identificazione in “qualcosa di più alto” gettato in numerose periferie e carceri europee è qualcosa che sarà difficile da estirpare se nel nostro vocabolario non andremo anche ad inserire parole come de-radicalizzazione. Togliere terreno fertile a questa ideologia sarà di fondamentale importanza per migliorare la nostra sicurezza così come le barriere che impediscono l’accesso alle strade commerciali.
D’altra parte, però, la storia ci insegna che i vuoti di potere tendono ad essere colmati da nuove realtà. E in questo, il jihadismo internazionale non ne è immune, come l’avvento di Baghdadi dimostra. Con la sconfitta militare dello Stato Islamico c’è la possibilità che qualcosa avvenga anche in questo universo. Ed è per questo che dobbiamo anche esser pronti ad un possibile ritorno di al-Qaeda, che uno dei figli di bin Laden, Hamza, sta scalpitando per ricostruire.

<HS9>Senza, dunque, un reale approccio a quelle che sono le problematiche sociali e, per certi aspetti, politiche alla base di questi fenomeni, ci troveremo sempre a combattere un nemico nuovo, che può cambiare insegne e bandiere, ma che basa le proprie idee su una visione distorta della religione. Con una minaccia sempre maggiore che non viene più da un Paese lontano di cui difficilmente conosciamo i confini, ma ormai dalla nostra porta accanto.
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