L’ambasciatore al Cairo/Tutelare gli interessi aiuta anche la verità

di Fabio Nicolucci
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Venerdì 18 Agosto 2017, 00:05
Si diradano le ombre della tempistica, emerge il calibro dell’operazione. A mano a mano che si conoscono i dettagli della lettera d’incarico del neo ambasciatore al Cairo Cantini, si diradano le ombre di una tempistica maldestra e emerge meglio il calibro di quella che è un’operazione politica a miglior tutela dei nostri interessi nazionali.

Anche perché appare sempre meno balzana l’idea che a determinare la decisione ferragostana del governo non sia stata una casualità burocratica o la scelta levantina di tempi distratti, quanto magari l’incalzare sottotraccia di trame e pressioni e colpi di mano a danno del nostro paese da parte di potenze alleate.

Essendo infatti ferragosto per tutti, sorprende la prontezza con cui il New York Times, ha subito avuto a disposizione fonti che hanno gettato una luce sinistra su tale decisione. Fornendo – per la prima volta, dopo un anno e mezzo la tortura e l’assassinio del nostro Giulio Regeni – assicurazioni oblique del coinvolgimento in tale tragica vicenda dello Stato egiziano. Non che tale affermazioni non siano da ritenersi veritiere. Soprattutto se provenienti da “persone informate dei fatti”, come sono i servizi di sicurezza americani, che hanno con i consimili apparati egiziani una pluridecennale collaborazione. Una collaborazione che dall’11 settembre ha anche visto una ripartizione dei compiti nella Guerra al Terrorismo, con la delega ai più specializzati e brutali servizi egiziani ad una sorta di sordido ufficio tortura per tutte le extraordinary renditions della Cia.

<HS9>Dunque, quando il NYT viene informato e riporta del destino tragico di Regeni e della consapevolezza governativa dell’Egitto “fino al più alto livello”, c’è da credergli. Tali valutazioni sono peraltro anche le nostre. Ma la perfetta tempistica di questo controcanto fa invece pensare. Potrebbe anche essere che qualcuno abbia voluto ricordare che non si è gradito come l’Italia abbia perseguito gli agenti del sequestro dell’imam egiziano Abu Omar.

Oppure che nella polemica assenza del nostro ambasciatore, divenuta con il passare dei mesi un semplice vuoto, a qualcun altro - sempre un alleato, ma del medesimo continente - questa assenza abbia fatto molto comodo nei mesi passati, e non vi volesse rinunciare. In ogni caso, dietro il paravento egiziano si intravedono ombre e lotte, che hanno a che fare più con tutta la complessa vicenda di interessi economici e geopolitici che ruota intorno alla Libia, piuttosto che con la giustizia da assicurare ad un cittadino italiano ed europeo. Interessi e giustizia che coincidono solo per l’Italia, purtroppo. Di qui la giusta decisione del governo. Anche perché probabilmente la stessa vicenda di Giulio Regeni nasce come avvertimento in stile mafioso ad un paese che sulla Libia ha sempre ragionato di testa sua e con un peso invidiato da molti, più che come un errore di valutazione di affannati e zelanti servizi di sicurezza alla ricerca di un accreditamento con il nuovo padrone. Come dimenticare infatti i primi frammentari e indiretti resoconti su un Giulio Regeni che protestava la sua innocenza e veniva deriso quando si faceva inutilmente scudo del suo essere cittadino italiano? <HS9>Eppure Giulio Regeni non è solo un cittadino italiano. Il suo sequestro, tortura e assassinio non riguardano solo l’Italia. Giulio Regeni è anche un europeo.

Un giovane friuliano, ma di cittadinanza italiana ed europea. E non solo perché studiava in un’università straniera, ma perché era parte di quella generazione di giovani che hanno una grammatica intellettuale globale e continentale più che nazionale, formatasi con l’Erasmus e tante altre interconnessioni prima inesistenti. Giovani che al telefono chiamano casa, ma subito dopo magari un amico di un altro paese europeo. Questa dimensione è stata finora stranamente non colta, ma contribuisce a spiegare la rilevanza simbolica della sua vicenda e il peso che continua ad avere la richiesta di giustizia. Ciò deve essere di parziale conforto per i suoi genitori, di cui si può solo immaginare lo strazio sotto tanta dignità. Ma deve anche essere di monito e di sprone per chi ha finora inspiegabilmente taciuto. Essa è un monito in primis per quella University of Cambridge nella quale Giulio Regeni studiava, e per la quale portava avanti il suo lavoro sul campo in Egitto.

Non fa onore a quella prestigiosa università il no comment che ha sinora accompagnato ogni richiesta di delucidazioni sul lavoro di Regeni.
E che non merita l’ombra della calunnia di essere stato una spia che tale silenzio getta. Essa è di sprone, infine, per chi dovrebbe rappresentare l’Ue all’esterno, e finora non ha ritenuto necessario spendersi in questa vicenda. Che, al contrario, riguarda proprio l’intima essenza di un’Europa che deve scegliere se essere un caotico e furbesco agglomerato di singole entità, oppure rappresentare un’idea politica più collettiva. Di cui Giulio Regeni era frutto, e di cui è ora testimonianza. Per questo il suo destino riguarda tutti noi, e dipenderà anche da quanti lo riterranno parte del proprio.
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