Isis, chiuse le cliniche gestite da medici maschi e cacciati i ginecologi da Raqqa

Isis, chiuse le cliniche gestite da medici maschi e cacciati i ginecologi da Raqqa
di Antonio Bonanata
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Giovedì 29 Ottobre 2015, 16:22 - Ultimo aggiornamento: 17:52
Mentre la guerra contro l’Isis da parte della coalizione occidentale prosegue con alterne fortune, da Raqqa, cuore pulsante dell’autoproclamato Stato islamico, continuano ad arrivare inquietanti notizie sulle condizioni cui sono costretti i suoi abitanti, a causa delle regole imposte dal califfo Al-Baghdadi.



A farne le spese soprattutto le donne, che, secondo i dettami del capo dei tagliagole islamici, devono vivere rigorosamente separate dagli uomini. Tra gli ultimi provvedimenti stabiliti nel quartier generale dell’Isis, c’è anche la chiusura di tutti gli ambulatori femminili gestiti da medici maschi. Agli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, di stanza a Londra, risulta che l’attività professionale dei ginecologi è stata drasticamente ridotta, in virtù di un’incomprensibile ghettizzazione di genere. Nei principali ospedali della provincia il loro lavoro è stato limitato, se non del tutto impedito. Così facendo, viene inferto un altro colpo mortale contro i diritti e la salute delle donne, oltre a casi più volte registrati di stupri e matrimoni forzati, dove spesso le spose sono bambine. A ciò si aggiunge la persecuzione nei confronti dei medici e una distribuzione selettiva delle medicine, concesse ai soli militanti e negata a chi non si piega ai loro voleri.



La chiusura delle cliniche femminili era già avvenuta nelle province minori del territorio controllato dall’Isis; ora ha coinvolto anche la “capitale”: «La popolazione ha espresso il suo risentimento per queste decisioni che riguardano la salute e lo staff medico attivo in città, dove già si patisce la mancanza di personale sanitario femminile» si legge in un comunicato dell’Osservatorio siriano. Un'altra rete di attivisti, “Raqqa violentata in silenzio”, parla di minacce e abusi perpetrati ai danni di medici, risalenti alla notte di mercoledì. «Molti dottori sono già andati via, soprattutto ginecologi: viene loro impedito di svolgere il proprio lavoro e subiscono minacce di morte» dichiara Abu Mohammed, il fondatore del gruppo.



All’inizio dell’anno, alcuni medici operanti nei territori libici sotto il controllo dello Stato islamico hanno lanciato un allarme: si registra un drammatico aumento di casi di aborti spontanei e di malattie sessualmente trasmissibili tra le giovani donne, le stesse piegate ai voleri dei combattenti. Un ginecologo ha raccontato al Times, lo scorso maggio, che le ragazze portate negli ambulatori spesso sono così piccole che neanche si rendono conto di quello che vivono: «Assistiamo ragazze con copiosi sanguinamenti nelle zone genitali. Alcune non sanno neppure cosa sia il sesso, entrano in clinica giocando con delle bambole».



Lo sfregio nei confronti del corpo femminile va di pari passo con l’alta domanda di cliniche ginecologiche, dove le donne dovranno dare alla luce una nuova generazione di guerrieri. Esiste anche un “manifesto” per il “ruolo delle donne nello Stato islamico”, che le relega a una vita sedentaria, tutta dedita al ruolo di madre e alle faccende domestiche. “È considerato legittimo per una ragazza”, si legge, tra le altre cose, nel documento, “essere sposata all’età di nove anni”. Puro Medioevo, insomma.