L'appello è chiaro e, sotto certi aspetti, un po' disperato. Soprattutto se comparato alle precedenti produzioni della propaganda di Isis rivolte ai profughi siriani per invitarli a tornare a casa. Nella prima fase, infatti, erano state preferite le minacce. I profughi erano etichettati come traditori, apostati, un nuovo target da colpire, magari con nuove azioni di "lupi solitari". Poi qualcosa deve essere cambiato. Nei problemi che i siriani in fuga (e non solo loro) stanno incontrando sul loro cammino, nella condizione di alcuni campi profughi, i comunicatori di Isis hanno colto un'opportunità di riguadagnare terreno rispetto a una crisi di immagine e di reclutamento che viene evidenziata da più parti.
Uno Stato - obiettivo da sempre dichiarato in tutti i proclami di Isis - non può esistere senza cittadini.
Uomini e donne da sottoporre alla sha'ria, controllare, manipolare, schiavizzare. Da qui le promesse, da qui l'altro hashtag che invita i profughi a non credere alla deception, alla propaganda dell'Occidente. Altro che modello occidentale. Isis cerca di convincere i profughi che la vera libertà, il vero benessere si trovano sotto di loro, nei confini del Califfato. Tornate a casa, è l'appello di Isis. E qui troverete tutto. Basta che passiate dalla nostra parte. Meglio essere "sudditi" del Califfato che "schiavi" in Europa. Ma quanti profughi, dopo ciò che hanno visto, vogliono realmente crederci.