Caos Iran, i rischi per l'Italia: investimenti, ora le aziende frenano

Caos Iran, i rischi per l'Italia: investimenti, ora le aziende frenano
di Michele Di Branco
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Mercoledì 3 Gennaio 2018, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 15:59

ROMA «Per capire se la crisi impatterà sulle aziende italiane bisogna vedere come si evolverà la situazione interna, che è molto molto critica». Dal quartier generale di Confindustria, Licia Mattioli, vice presidente per l’Internazionalizzazione, non nasconde la preoccupazione per le ripercussioni che potrebbero coinvolgere le nostre imprese che operano in Iran. Nell’aprile del 2016 l’ex premier Matteo Renzi, accompagnato da 55 aziende e circa 150 top manager (tra questi gli amministratori delegati di Eni, Mediobanca e Anas), aveva benedetto la firma di decine di accordi commerciali invitando il mondo della finanza e delle banche a scommettere sulla Repubblica islamica. E quel viaggio aveva messo in moto molti affari. Già nei mesi scorsi, tuttavia, la tensione sul nucleare sulla linea Teheran-Washington aveva ricominciato a bloccare tutto, tanto da mettere a rischio circa 20 miliardi di commesse. E dopo la revoca delle sanzioni e il successivo disgelo ora si torna a temere.

FASI DIFFERENTI 
«Numerose aziende italiane sono sbarcate nel Paese firmando moltissimi contratti che, al momento, si trovano in fasi differenti» sottolinea Mattioli tracciando un quadro della situazione tutt’altro che rassicurante. Sono molti e pesanti gli impegni tricolore in ballo in Iran: tra i principali il gasdotto di Saipem (4,5 miliardi di euro), le infrastrutture del Gruppo Gavio (4 miliardi), gli impianti siderurgici Danieli (pezzi di ricambio nel settore automobilistico: 3,8 miliardi) e la fornitura di velivoli Atr-Finmeccanica (400 milioni). Entrando ancor più nel dettaglio c’è una commessa molto importante che riguarda Ferrovie dello Stato e quelle iraniane per un totale di 3,5 miliardi: nei piani la realizzazione dell’alta velocità in Iran. Le Fs, in qualità di general contractor, devono occuparsi della progettazione, della realizzazione, dei test e della messa in servizio delle linee alta velocità Teheran–Hamedan e Qom–Arak. Italcertifer, la società di certificazione del Gruppo, invece, è impegnata nella progettazione, realizzazione e certificazione del test center delle ferrovie iraniane.

Tra gli altri accordi, quello fra Enel e una società iraniana di esportazione di gas, uno fra la società degli aeroporti di Milano Sea e un’omologa iraniana (Iac) per la costruzione e la gestione dell’aeroporto Mehrabad di Teheran e due collaborazioni nel campo del turismo e dell’energia. Uno degli ultimi accordi riguarda il gruppo di gestione del risparmio Azimut, che nel 2017 ha firmato un accordo per acquisire il 20% di Mofid Entekhab, la più grande società di asset management indipendente appartenente al Gruppo Mofid, la principale società di brokeraggio e di consulenza finanziaria dell’Iran. Azimut e Mofid Securities hanno siglato anche un accordo parasociale per sviluppare una piattaforma di consulenza finanziaria onshore e istituire un fondo offshore per consentire agli investitori stranieri l’accesso al mercato di capitali iraniano.

I FINANZIAMENTI
Insomma il dossier è nutrito. Peccato che con l’aria che tira le banche italiane facciano fatica a continuare a finanziare gli affari. «È importante investire sulle linee di credito, sulle banche, sugli aspetti finanziari: per questo ci sono Sace, Cdp ed anche Mediobanca» aveva spiegato Renzi 21 mesi fa chiedendo il contributo del mondo del credito e della finanza. Un appello caduto nel vuoto. «Paesi europei come la Francia e la Germania – spiega una fonte diplomatica iraniana a Roma – hanno investito in Iran, nonostante le incertezze sul suo futuro, mentre le banche italiane finora non sono state molto coraggiose ed hanno temuto conseguenze sui loro affari negli Stati Uniti». Un ruolo chiave, nei prossimi mesi, lo dovrà svolgere Cassa depositi e prestiti, la società controllata all’83% dal ministero del Tesoro che dovrebbe fare da garante istituzionale su molti dei contratti pubblici e privati sottoscritti nei mesi scorsi. Ma l’incertezza regna. «Un Paese che al suo interno vive una situazione complicata – spiegano ancora da Confindustria – può mettere in seria difficoltà gli affari: la stabilità di un Paese è sinonimo di investimenti stranieri».

 

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