Il mito di ritorno/C’è anche al-Andalus tra le parole d’ordine

di Franco Cardini
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Sabato 19 Agosto 2017, 00:05
Nell’opinione pubblica, e soprattutto sulla stampa spagnole di questi mesi, infuria una polemica che per i non spagnoli è incomprensibile o quasi mentre, per gli autoctoni, è ovvia e nondimeno accanita. 
Da almeno un paio di secoli il paese di Cervantes è infatti drammaticamente spaccato in due. E la questione non sembra per nulla vicina ad essere risolta. Anzi.

Da una parte una destra che rivendica con orgoglio l’identità tra hispanidad e tradizione cattolica; dall’altra una sinistra che invece sostiene che i fondamenti della cultura iberica della libertà stanno nel laicismo o addirittura nell’agnosticismo e nell’ateismo. E che a vaccinare la Spagna contro le tentazioni reazionarie siano le sue autentiche radici storiche, fondate sulla memoria del tempo della convivenza e della tolleranza: quel felice medioevo iberico nel quale l’occupazione arabo-berbera, nell’VIII secolo, aveva imposto la compresenza di tre culture – cristiana, musulmana ed ebraica – che sia pur con difficoltà e con momenti di attrito contribuirono alla vita nobile, prospera e sicura del paese.
LA RISCOSSA CRISTIANA
<HS9>Non che le cose siano andate davvero così, né in un modo né nell’altro. Ma, nel nome di questa opposta interpretazione, gli spagnoli hanno affrontato, prima nel XIX e quindi nel XX secolo, due sanguinose guerre civili.
Oggi sembra di essere alle solite. Dinanzi alla tremenda tragedia di Barcellona, insieme con l’ondata di proteste e di rivendicazioni nella quale è sempre difficile distinguere la reazione contro la violenza terroristica e la realtà generale d’un mondo musulmano ch’è nella sua maggioranza estraneo e contrario alle stragi, le destre suonano la grancassa dell’ora della riscossa cristiana contro gli infedeli, come nel medioevo; e le sinistre, per contro, replicano ricordando che se ottant’anni fa il generale Franco non avesse ricevuto l’appoggio non solo dei nazisti e dei fascisti ma anche delle fedelissime, coraggiosissime e ferocissime milizie marocchine musulmane, egli non ce l’avrebbe fatta a imporre la sua dittatura.

<HS9>Certo, ci siamo abituati; nondimeno è sempre triste e umiliante dover assistere in casi come questi, passata la prima fase dell’orrore e del lutto, al ping-pong delle recriminazioni e dei tentativi di strumentalizzazione politica. Ma tant’è. Oggi, in Spagna e fuori, siamo alla solita musica: da una parte chi dice che i musulmani sono sempre gli stessi, sono tutti uguali, e che siamo in pieno scontro di civiltà; dall’altra chi ribatte che per combattere il terrorismo – che si alimenta dell’estremismo politico e del disagio sociale – non ci sono altre vie se non l’intelligence, l’informazione e la sempre maggiore conoscenza reciproca (e quindi integrazione).
<HS9>Ad ogni modo, noi ci troviamo oggi, con l’attentato di Barcellona, dinanzi a una “variabile” della lotta terrorista sostenuta dagli islamisti. Siamo all’esito d’una campagna ideologica che ai non-spagnoli era finora largamente ignota e insospettata, ma che gli esperti e anche i meno disinformati all’interno della società civile ben conoscevano. 

<HS9>Il fondamentalismo islamista, ormai diffuso in tutto il mondo per quanto numericamente ancora ristretto, si alimenta di miti: il principale tra essi è intraislamico, la fitna, cioè la guerra civile tra sunniti e sciiti; ma ci sono poi temi locali e particolari che finiscono con l’avere, in certi settori geopolitici del mondo musulmano, il sopravvento. Nel Vicino Oriente, lo splendore del califfato medievale; nel Mediterraneo orientale, i fasti dell’impero ottomano; nel Maghreb, il mito di al-Andalus, la Spagna musulmana dei secoli VIII-XV, e la nostalgia dei palazzi e dei giardini di Granada. Anni fa, molti colleghi spagnoli studiosi dell’Islam sorridevano riferendo dell’esistenza, nel Mahreb e in Marocco, di associazioni studentesche le quali fondavano la loro propaganda sulla volontà irredentistica della «riconquista musulmana dell’Andalusia». Fantasie romantiche, si diceva. Lo sono senza dubbio ancora: ma oggi ci rendiamo conto ch’esse hanno alimentato nell’Islam maghrebino (e tra gli immigrati) un sogno folle che si va innescando sul malessere e sul disorientamento che insieme forniscono al terrorismo nuovi aspiranti martiri.
<HS9>Non c’è dubbio che quella venutasi a formare fra dodici e sette secoli fa, in un’area che dalla Sirte giungeva sino all’Ebro, fu una grande e civilissima cultura che, pur nelle molteplici diversità locali e politiche, aveva e manteneva una sua unità garantita dalla fede musulmana e dalla lingua araba. Di tale realtà, a cavallo del millennio fece parte anche la nostra Sicilia, dove peraltro l’influsso, l’impronta – e la nostalgia – della cultura islamica rimasero vive molto a lungo. 

LA RECONQUISTA
<HS9>In quei secoli i musulmani dettero vita perfino a un’esperienza califfale, quella di Córdoba: il particolarismo ebbe poi la meglio, ma i vari emirati iberici, spesso in lotta fra loro, continuarono a vivere una vita culturalmente ed economicamente splendida. A quella cultura la stessa Europa medievale deve molto: furono gli arabi di Spagna a riportarci, in traduzione, la filosofia greca, e a insegnarci la matematica, l’astronomia, la fisica, la chimica, la medicina. Intanto però il nordovest spagnolo, rimasto cristiano, si riorganizzava: e dalla fine del X secolo aveva inizio quell’offensiva, poi detta Reconquista, che progressivamente ridusse i principati musulmani a dimensioni sempre più piccole. Fino al regno di Granada, espugnato nel 1492 dai Re Cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia.
Rivendicare quelle antiche glorie è folle. Il passato, proprio e soprattutto quando fu magnifico, non torna. Ma in momenti come questo, di confusione e di follia, i più aberranti pretesti possono divenire serissimi, formidabili moventi. E decine di vite umane possono venire stroncate sotto il bel cielo di Barcellona nel nome di demenziali parole d’ordine dietro le quali si nascondono ancor più demenziali disegni di potere. 

 
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