La guerra Tobruk-Tripoli/ Ma solo la pace potrà garantire i nuovi accordi

di Romano Prodi
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Domenica 8 Gennaio 2017, 00:06
I migranti sono un problema sempre più grande per la nostra Italia. Per questo motivo sono stati al centro dei programmi del Presidente del Consiglio e hanno assunto uguale importanza nel messaggio del Presidente della Repubblica di fine d’anno. E per lo stesso motivo hanno conservato un ruolo prioritario nelle scelte del nuovo Ministro degli Interni, che ha prospettato la riapertura dei Centri di identificazione e di espulsione (Cie) in passato chiusi dopo infinite contestazioni nei confronti della loro natura, del loro funzionamento e della loro utilità. Centri che, se la decisione della riapertura avrà attuazione concreta, dovranno quindi essere radicalmente trasformati sotto tutti questi tre aspetti.

I migranti restano infine al centro dei problemi dei rapporti fra l’Italia e l’Unione Europea, dato che è impossibile comprendere di che solidarietà parliamo quando venticinque Paesi europei collaborano al necessario salvataggio di migliaia di persone e continuano poi a trasferirle unicamente sul territorio italiano. In questi nostri dibattiti senza fine si è dimenticata la vera caratteristica di questo evento biblico.
]La gran parte di questi migranti arriva dalla Libia perché la Libia è l’unico varco aperto e incontrollato per le migliaia di persone in fuga coinvolte in questa immane tragedia umana. Oggi nessuno ricorda l’impegno politico e finanziario sostenuto dall’Unione Europea (sotto iniziativa tedesca) per la chiusura del passaggio turco. Una chiusura che sarà ancora più invalicabile se la tregua faticosamente raggiunta in Siria si avvicinerà ad un consolidato processo di pace. Una chiusura che rende ancora più unico il transito libico.

Quello che più sorprende in questo quadro è il perdurante silenzio italiano, europeo e mondiale sulla possibilità di porre fine alla guerra di Libia che è già durata più della seconda guerra mondiale senza che siano sorte iniziative di pace, iniziative che non sembrano essere prioritarie né nell’ambito delle Nazioni Unite né in ambito europeo. Si ha l’impressione che essa venga quasi ritenuta l’ultima necessaria valvola di sfogo delle tante tensioni oggi esistenti nel mondo. Eppure mai come oggi una forte azione per la pace avrebbe la possibilità di produrre frutti tangibili.
In primo luogo gli accordi sul prezzo del petrolio e il pur modesto ruolo riconosciuto da tali accordi alla Libia aprono una concreta prospettiva di un possibile compromesso sui futuri assetti del Paese. Il prezzo superiore ai cinquanta dollari al barile rende infatti più facili gli accordi economici e politici tra le numerosissime fazioni in lotta.
Inoltre una spinta ancora più importante in direzione di una possibile pace nasce dal diffuso senso di stanchezza nei confronti di una guerra non solo eterna nel tempo ma che non sembra trovare alcun vincitore nel prossimo o nel lontano futuro. Gli accordi fra i governi di Tobruk e di Tripoli sono sempre lontani e le milizie locali mantengono un ruolo determinante in molte regioni della Libia. In questo precario equilibrio le forze legate al terrorismo internazionale e, in particolare i commercianti di uomini, conservano ed aumentano il proprio spazio d’azione, indebolendo la forza dei due governi e delle tribù più consolidate. Anche perché, come sempre accade in questi casi, gli infiniti compromessi e gli accordi sotterranei fra i poteri riconosciuti e gli attori illegali aumentano con il prolungarsi delle incertezze sull’esito del conflitto.
Siamo quindi in presenza di una serie di eventi che dovrebbero esercitare una spinta decisiva verso la costruzione di un processo di pace, ma non vi è nessuno pronto a raccogliere questa spinta. L’Onu, in concomitanza del cambiamento del vertice, si è limitata, ancora più che in passato, a svolgere un ruolo prevalentemente burocratico. Dalle Nazioni Unite, nel prevedibile futuro, non possiamo aspettarci molto di più, così come dall’Unione Africana, paralizzata dal presente vuoto di potere.

L’iniziativa non può che essere presa dall’Unione Europea e, in un quadro europeo, dall’Italia. Un’iniziativa a cui non può essere estranea la Germania proprio perché, nel rapporto con la Turchia ha capito, prima a sue spese e poi a suo vantaggio, quanto sia importante una politica europea comune per controllare le migrazioni. L’iniziativa italiana è tuttavia prioritaria: la prossima missione di Minniti a Tripoli può segnarne un utile inizio. Ho tuttavia sottolineato il ruolo tedesco perché solo la Germania può mettere fine al comportamento difficilmente decifrabile della Francia e di altri Paesi nei confronti dell’obiettivo (a mio parere assolutamente prioritario) di garantire nel futuro l’unità della Libia.
L’azione che ci aspettiamo, data la complessità della situazione interna libica, non è quella tradizionale di un accordo fra le cosiddette “grandi potenze” ma una comune azione per mettere attorno ad uno stesso tavolo tutti i protagonisti della tragedia libica, dai due governi ai rappresentanti delle principali tribù e ai leader che vivono in esilio all’estero. Solo i libici possono decidere il futuro della Libia.
Lo sfinimento per una tragedia senza fine e la consapevolezza che nessuno ne uscirà vincitore rendono finalmente realistico il doveroso e indispensabile ruolo di potente “facilitatore” da parte dell’Unione Europea e, in particolare modo, dell’Italia. Dobbiamo infatti essere finalmente convinti che il problema dei migranti non può essere affrontato quando essi sono già giunti nel nostro Paese. Perché a questo punto ogni soddisfacente soluzione è impossibile.
 
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