Il futuro di Bruxelles/ Il grave errore delle concessioni date a Londra

di Giulio Sapelli
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Giovedì 23 Giugno 2016, 00:30
La dibattuta questione della Brexit è assai più ampia della scelta tra il “sì” e il “no” del referendum di oggi. Beninteso, occorre sottolineare che la vittoria del “sì” all’uscita aprirebbe un periodo difficilissimo per i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito, soprattutto perché a quel punto occorrerebbe riscrivere tutti i trattati commerciali stipulati a partire dal 1973 quando la Gran Bretagna entrò, tardivamente, nel Mercato Comune Europeo fondato nel 1957. Ma a pesare in modo preoccupante sarebbe anche la robusta svalutazione inevitabile della sterlina rispetto all’euro, che aprirebbe una fase nuova piena di incognite nel commercio mondiale. C’è poi un altro problema legato all’attività delle Borse. La fusione tuttora sul tavolo ma non ancora avviata tra le Borse di Londra, Francoforte e Milano entrerebbe in una fase assai difficile dal punto di vista della governance e dei pesi relativi dei gruppi d’interesse, che verrebbero profondamente modificati per le inevitabili migrazioni dei flussi finanziari e delle istituzioni globali di intermediazione dei capitali.

Questi ultimi perseguirebbero vie profondamente diverse: il Regno Unito ha già chiaramente indicato la via asiatica come prevalente rispetto a quella europea, con tutto ciò che a questo ne conseguirebbe.
 
Ma anche se vincesse il “no” all’uscita, sancendo la permanenza della Gran Bretagna nella Ue, molte dimensioni economiche e geopolitiche del costrutto europeo verrebbero comunque messe in discussione. Su questo punto occorre spiegarsi bene. Già ora il Regno Unito gode di alcune favorevoli condizioni rispetto alle esigenze nazionali che il primo ministro Cameron ha - Brexit o non Brexit - intelligentemente negoziato e ottenuto grazie a un lavoro di lunga lena nei confronti delle istituzioni europee. Saranno infatti queste ultime a essere messe in discussione dall’emergere inevitabile dei principi di nazionalità, ossia di esigenze particolari rispetto a quelle che dovrebbero essere le linee generali di una Europa che cerca un maggior grado di integrazione. Il problema è che vi sono molti ostacoli a questo grado di integrazione nell’attuale condizione di pericolante sovranità non condivisa, in cui la Germania ha sprofondato l’Europa, una realtà che ormai è dinanzi alla coscienza di tutti.

Sarà questa la conseguenza più profonda e pericolosa che il referendum inglese sta sollevando per il solo suo porsi. Del resto i fermenti neonazionalisti che ribollono negli stati ex comunisti (Polonia e Ungheria in testa)sono una emblematica comprova di ciò. Ma simili istanze neo nazionaliste,pur con un’altra torsione politica, provengono anche dalle nuove forze di sinistra che si affacciano sulla scena in Spagna e in Portogallo. Il lepenismo francese è un fenomeno troppo noto per essere qui ricordato, così come quello delle nuove destre che si sono recentemente disvelate pienamente in Italia.

Insomma, il futuro dell’Europa assume sempre più il connotato della fragilità istituzionale, fragilità amplificata dalla stagnazione da deflazione da cui non si fuoriesce. Ed è questo a cui bisogna guardare per affrontare la nuova fase dell’Europa dopo il responso del referendum di oggi, qualunque esso sia.
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