Forum al Messaggero «Così ridurremo i costi della Brexit». Confronto tra ambasciatori britannico e italiano

(Foto di Giacomo Gabrielli/Ag.Toiati)
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Domenica 26 Novembre 2017, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 27 Novembre, 21:24

Jill Morris, ambasciatore del Regno Unito a Roma, e Pasquale Terracciano, ambasciatore italiano a Londra, su un punto sono sicuramente d’accordo: «Per la Brexit siamo arrivati a un momento cruciale delle trattative». Ospiti della redazione del Messaggero, esaminano insieme le difficoltà del negoziato e le possibili vie d’uscita, con un certo ottimismo: l’intesa - dicono entrambi - è ormai vicina, e si può arrivare a un accordo che tuteli gli interessi di tutti, compresi quei 3 milioni di cittadini europei (fra cui 600 mila italiani) che risiedono in Gran Bretagna per lavorare o per studiare, e per quelli che la visitano come turisti.
 

 

Che cosa cambierà con la Brexit per gli italiani nel Regno Unito?
Terracciano: «I nostri connazionali che vivono nel Regno Unito sono rattristati dal referendum, come tutti i cittadini dell’Unione europea. Certo, le autorità britanniche hanno detto di voler rispettare i loro diritti, ma chi ha investito o ha grossi interessi nel Paese distingue tra le espressioni della politica e le norme e gli accordi concreti. Oggi siamo a un passo dall’intesa sui diritti dei cittadini e la comunità italiana, dopo l’ansietà iniziale, è più tranquilla. Restano alcuni punti da chiarire».

Quali?
Terracciano: «Anzitutto la tutela giurisdizionale dei diritti. Sarà riconosciuto o no il ruolo della Corte di giustizia europea? Poi i ricongiungimenti familiari. Inoltre, gli italiani non sempre hanno un rapporto lineare con la burocrazia, quindi sono preoccupati di dover ripetere una procedura. Chi ha già lo status di “residente permanente” è in ansia dovendo acquisire la “residenza stabile”: e se c’è un intoppo burocratico? Se arriva la lettera che dice di lasciare il Paese? Noi vorremmo che la nuova procedura fosse automatica, senza costi, e salvaguardasse oltre ai giovani, anche i più anziani, quelli che si sono trasferiti dopo la Guerra. Come farà la signora ottantenne che non va su Internet a completare la procedura online?».

Gli italiani che vivono nel Regno Unito da almeno cinque anni avranno diritto alla residenza stabile, il cosiddetto “settled status”. In cosa consiste?
Morris: «La residenza stabile (come già oggi quella “permanente”) attribuirà ai cittadini italiani e Ue gli stessi diritti dei cittadini britannici. Con la Brexit cambierà la cornice legale, il vecchio status cambierà nome ma continuerà a dare accesso ai servizi sanitario, pensionistico e scolastico. La procedura sarà più snella. Stiamo lavorando sull’online perché sia semplice da usare, e verremo incontro a quanti non usano Internet». 

A partire da quale data si calcolano i cinque anni di residenza? 
Morris: «La cut-off date, la data di scadenza, sarà definita dai negoziati, che sono già a buon punto: c’è un accordo su oltre 2 terzi dei punti indicati dalla Commissione. Confidiamo che in dicembre la parte sui diritti si possa concludere. Siamo orgogliosi che 600mila italiani abbiano scelto di vivere, studiare e lavorare da noi. Rendo omaggio al loro immenso contributo. Come ha detto il premier May a Firenze: “We want you to stay”, vogliamo che restiate. Sappiamo che la nostra decisione di uscire dalla Ue ha creato ansia e incertezza. Ma facciamo tutto il possibile per dare rassicurazioni concrete. E c’è una controprova: negli ultimi anni il numero dei visitatori italiani è raddoppiato da uno a 2 milioni. Il 94 per cento dei vostri turisti si è sentito o estremamente o molto benvenuto. Gli studenti italiani sono oltre 10mila, un record assoluto. In un anno abbiamo visto un incremento di investimenti stranieri diretti. Dietro questi numeri ci sono persone, famiglie, sogni, ambizioni… I vostri imprenditori creano da noi posti di lavoro di alta qualità, ci hanno portato l’eccellenza italiana. Il popolo britannico non ha votato per chiudere le porte o alzare muri. Volevamo essere noi, il nostro Parlamento, a decidere per i nostri confini, leggi e tasse, ma non è cambiata l’apertura al mondo della nostra cultura, società, economia».

Non ci sono segnali di una “fuga” dalla Gran Bretagna?
Morris: «No. Ma neanche vanno sottovalutate incertezze e preoccupazioni. Noi crediamo in una partnership profonda e speciale. Abbiamo pubblicato una ventina di documenti in tutti i campi di cooperazione, l’ultimo su scienza, ricerca e Università. Vogliamo continuare a far parte dei progetti Ue come Erasmus o il programma spaziale». 

Gli studenti italiani potranno ancora accedere a prestiti e borse di studio?
Morris: «Dipenderà dall’esito del negoziato, ma il governo ha già chiarito che per i prossimi due anni la situazione resterà uguale. Sicuramente chi oggi sta studiando nel Regno Unito usufruirà delle condizioni attuali fino al termine degli studi. E i singoli Atenei avranno l’autonomia di decidere. In generale abbiamo proposto un periodo di transizione di almeno 2 anni».

Favorirete gli studenti nei settori più qualificati?
Morris: «Il governo ha detto di volere un’economia basata sull’alta qualità del lavoro. Abbiamo annunciato investimenti per 4,7 miliardi di sterline nella ricerca e sviluppo, il più cospicuo dagli anni ’70. Economia e società da noi si basano sull’attrazione del talento internazionale».
Terracciano: «Nel Regno Unito ci sono ben 5mila scienziati e ricercatori italiani e molti si stanno guardando intorno. Non hanno deciso di andarsene, ma si pongono il problema, sono restii ad accettare offerte dalle Università britanniche perché non sanno come sarà il futuro. In generale, molti cittadini di Paesi europei dopo il referendum hanno cominciato a lamentare non dico una discriminazione, ma un fastidio per lo straniero. Come se certi atteggiamenti fossero stati sdoganati dal voto sulla Brexit. Queste cose mi sono state riferite in particolare da colleghi ambasciatori di Paesi come la Polonia o dell’area baltica, agli italiani queste cose non stanno succedendo probabilmente perché noi tendiamo a inserirci di più nella società che ci ospita, non formiamo comunità chiuse e concentrate in alcune zone».
Morris: «È vero, subito dopo il referendum il ministero dell’Interno ha registrato un aumento degli episodi di intolleranza denunciati. Ma tre mesi più tardi il numero era già tornato ai livelli di prima del voto. Voglio ribadirlo, il mio è un paese aperto, siamo orgogliosi della nostra società multiculturale. Il Parlamento attuale è il più diverso mai avuto nella storia, le minoranze etniche e di genere non sono mai state così rappresentate».

Quanto “hard”, quanto dura sarà questa Brexit?
Morris: «Hard o soft, dura o morbida, non sono termini utili. Il nostro governo parla di “smooth Brexit”, o Brexit liscia. Vogliamo essere non solo buoni vicini ma i migliori amici. Siamo dentro l’Unione da 44 anni. Vogliamo essere parte della difesa europea. Stiamo adottando tutte le leggi europee. In economia il nuovo patto prevederà diritti e obblighi. Vogliamo un modello di scambi commerciali il più vicino possibile quello attuale».
Terracciano: «Si potrebbe costruire insieme un modello come il Ttip, il trattato di libero scambio che volevamo concordare con gli Stati Uniti e che adesso è sospeso. Il Regno Unito potrebbe diventare la prima pietra per una costruzione analoga con gli Usa».
Morris: «I modelli possibili sono tanti, ma in realtà non c’è un vero modello da seguire. Noi dobbiamo partire dalla convergenza tra Ue e Regno Unito che c’è già, invece nel Ttip era un punto d’arrivo. Dobbiamo usare l’immaginazione. In gioco c’è il ruolo della City di Londra come snodo globale».
Terracciano: «A noi piacerebbe che il Regno Unito restasse nel mercato unico per un periodo di transizione superiore a due anni, magari tre, per dare il tempo di creare un anello esterno alla Ue che comprenda anche Norvegia, Svizzera, Balcani, per tutelare sia la sovranità, sia il mercato unico. Il paradosso è che quest’ultimo è stato voluto proprio dalla Thatcher».

Lord Kerr, autore dell’articolo 50 dei Trattati che prevede l’uscita dalla Ue, ha detto che la Brexit si può revocare. È possibile un ripensamento? 
Morris: «L’83 per cento dei britannici a giugno ha votato per due partiti, il conservatore e il laburista, che avevano nel programma l’uscita dalla Ue. Anche i sondaggi dicono che negli ultimi 18 mesi la situazione è rimasta invariata rispetto al referendum, siamo ancora al 50% a favore e 50% contro la Brexit».

Il governo italiano ha calcolato un danno possibile per l’Italia dalla Brexit fra i 350 milioni e gli oltre 4 miliardi e mezzo di euro...
Terracciano: «Con un accordo molto stretto il danno potrebbe essere minimo. I settori più a rischio sono il finanziario e il manifatturiero. Potrebbe esserci una contrazione o fuoriuscita di fondi dalla City e un mancato ingresso di nuovi investitori dal resto del mondo, che potrebbero preferire altri Paesi europei».
Morris: «In realtà secondo noi potrebbe non esserci alcuna perdita per l’Italia, se si riuscirà a costruire una partnership aperta». 

Il Regno Unito ha già speso 750 milioni di sterline per la Brexit, altri 3 miliardi ne ha accantonati. Sono più dei 2,8 destinati alla Sanità...
Morris: «Sappiamo che la Brexit avrà un prezzo. Non siederemo nel Consiglio europeo, non sceglieremo le regole con voi. Ma pensiamo che alla fine sia meglio restare fuori e decidere da soli».
Terracciano: «L’unico modo per non avere costi sarebbe mantenere il Regno Unito nel mercato unico. Ma visto che ha deciso di uscire, ci sono tre linee rosse: quanto deve pagare il Regno Unito al bilancio Ue per uscire; la sovranità, cioè il ruolo della Corte di giustizia europea; la libertà di circolazione. Sui primi due punti ci si può accordare, sul terzo una soluzione può essere la registrazione dei cittadini Ue prevista da una direttiva del 2004, per cui un Paese dell’Unione può rimandare a casa un cittadino comunitario se non ha un lavoro da tre mesi. 

Perché ci sono ancora tanti britannici convinti che separarsi dall’Europa sia un bene?
Morris: «Noi non lasciamo l’Europa, lasciamo l’Unione Europa. Lo diciamo col cuore e senza ironia: per voi italiani Ue e Europa sembrano essere la stessa cosa. Per noi la Ue significa una burocrazia pesante che impedisce la crescita, frena gli imprenditori. L’Europa invece è casa nostra».

Però nelle grandi città e nei centri universitari si è contrari alla Brexit.
Terracciano: «È vero, a votare a favore è stato chi non vive a Londra, né a Oxford o Cambridge. Sono i “left behind”, i cittadini più deboli, quelli che si sentivano abbandonati. Hanno votato per protesta, contro i loro stessi interessi, per protesta. I trattati internazionali sono complessi: in Italia i padri costituenti li hanno a ragione esclusi dai referendum». 
Morris: «Dopo il voto la premier May ha tirato due conclusioni. Primo: va rispettata la decisione del popolo e gestita l’uscita proteggendo il Paese. Secondo: i benefici della globalizzazione devono essere condivisi in modo più equo per i left behind, che non possono essere ignorati.
Terracciano: «Forse non era necessario per questo uscire dalla Ue. Però tanto di cappello davanti alla fede e coerenza nel rispetto dei principi democratici». 
Morris: «Prima di salutarci voglio dire due cose. La Commissione Ue ha deciso di cancellare la candidatura di 5 nostre città a capitale europea della cultura per il 2023. Siamo delusi e rattristati da questo passo indietro, come se la cultura britannica non facesse più parte di quella europea. Infine, voglio ringraziare a nome del governo e del Foreign Office l’ambasciatore Terracciano, che conclude il mandato a Londra, per il contributo enorme dato ai rapporti tra i nostri due Paesi».

(Hanno partecipato al forum, con il direttore Virman Cusenza, Gianluca Perino, Pietro Piovani e Marco Ventura)

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