La fine del Califfato/ L’agonia dell’Isis con i kamikaze poco addestrati

di Alessandro Orsini
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Martedì 12 Dicembre 2017, 00:05
L’attentato fallito di New York porta una notizia cattiva e una buona. La notizia cattiva è che il terrorismo è una tecnica di combattimento che riesce a penetrare le difese di qualunque servizio di intelligence. È facile dimostrarlo: i servizi segreti migliori del mondo, ovvero russi, israeliani, americani e inglesi, hanno subìto numerosi attentati. 

Ciò accade perché il terrorismo è una forma di “violenza vigliacca”, ovvero un tipo di violenza esercitata contro persone indifese e senza vie di fuga. Siccome siamo tutti indifesi, perché il monopolio della violenza legittima appartiene allo Stato, i terroristi non hanno difficoltà a colpirci. Se sono costretti a scendere dalla metro, salgono sull’autobus; se vengono respinti a un concerto, entrano in un pub. Hanno l’imbarazzo della scelta. 
La buona notizia è che i terroristi privi di addestramento tendono a realizzare attentati poco letali o a fallire, com’è accaduto ieri a New York. Siamo giunti al punto fondamentale: se non possiamo puntare a eliminare tutti gli attentati, possiamo però impedire che i terroristi ricevano l’addestramento adeguato per realizzare una strage imponente. 

È ciò che abbiamo fatto. L’analisi comparata delle stragi jihadiste dimostra che le nuove leggi hanno dato risultati tangibili. 
Un tempo, i terroristi erano sempre letali. Il 7 gennaio 2015, i fratelli Kouachi a Parigi fecero strage della redazione della rivista satirica “Charlie Ebdo”. Abbiamo ancora negli occhi l’auto della polizia francese che corre in retromarcia sotto i colpi dei mitragliatori. Alcuni mesi dopo, il 13 novembre, giunse la strage del “Bataclan”, la nota sala concerti parigina. Granate, mitragliatori e cinture esplosive causarono 130 morti. Toccò poi alla città di Bruxelles, il 22 marzo 2016. Queste tre stragi hanno un elemento in comune: i loro autori erano stati addestrati e finanziati dalle rispettive organizzazioni terroristiche.

I fratelli Kouachi, da al Qaeda nello Yemen; i terroristi di Parigi e di Bruxelles, dall’Isis. Per contrastare il fenomeno, i parlamenti e le polizie europee presero contromisure adeguate. I viaggi verso la Siria sono diventati sempre più difficili per terroristi e combattenti e la polizia è diventata molto più incalzante. I progressi dell’anti-terrorismo sono davanti agli occhi. Dalla strage di Bruxelles fino a oggi, i capi dell’Isis non sono mai più riusciti a pianificare e organizzare una strage in prima persona. Non hanno finanziato, non hanno addestrato e, di conseguenza, non hanno devastato. 

Hanno sempre dovuto limitarsi a rivendicare le azioni di lupi solitari o di cellule di terroristi “fai da te”, come quella che ha colpito Barcellona recentemente, il 17 agosto 2017. Era certamente una cellula, ma di terroristi sprovveduti perché privi di addestramento, mezzi, risorse e idee. Ognuno di loro indossava una cintura esplosiva finta. La ragione è chiara: nessuno di loro aveva la più pallida idea di come realizzare gli esplosivi. Ne consegue che gli attentati dell’Isis si possono dividere in due grandi categorie: quelli dei terroristi addestrati, che, per ora, sono spariti dalla circolazione, e quelli dei terroristi privi di addestramento, con cui continuiamo a fare i conti. Tutto questo non significa che abbiamo vinto la guerra, ma che la stiamo vincendo. Nessuno ha mai vinto una guerra in un ventiquattr’ore. 

Il nemico deve prima essere sfiancato, logorato, prostrato e privato di ogni prospettiva di successo per precipitarlo nello sconforto. Soltanto dopo si verifica il crollo. È esattamente ciò che stiamo facendo con lo Stato Islamico che non ha più nemmeno uno Stato. Chiunque pensi che l’Isis ci colpirà per sempre non conosce la potenza dell’Occidente, la civiltà più potente mai apparsa sulla faccia della Terra. La riduzione progressiva delle capacità operative dell’Isis nelle città occidentali era un fatto inevitabile così come la sua distruzione come organizzazione protostatuale con capitale a Raqqa. Continueremo a subire attentati, ma il futuro non è dell’Isis.
In conclusione, l’analisi comparata delle stragi jihadiste ci impone di cambiare prospettiva. Non dobbiamo più ragionare in termini di attentati, ma in termini di attentatori. Gli attentati saranno inevitabili, fino a quando l’Isis non avrà terminato la sua parabola vitale. Gli attentatori, invece, possono essere costretti a rimanere a un livello molto basso di professionalizzazione, proprio come Akayed Ullah, colui che ieri ha cercato di colpire New York. 

aorsini@luiss.it 
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