Cina, festival di carne di cane a Yulin: la campagna per dire “no” alla barbarie

Il Festival della carne di cane a Yulin in Cina
di Luisa Mosello
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Mercoledì 15 Giugno 2016, 01:37 - Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 09:56

Un’usanza? No una barbarie. Il Festival della carne di cane che dal 2010 si svolge a Yulin, città-prefettura della Cina nella Regione autonoma di Guangxi Zhuang, è solo questo. Un appuntamento che non ha nulla a che vedere con alcun tipo di tradizione in programma fra pochi giorni, il 21 giugno quando migliaia di quattro zampe, rubati ai legittimi proprietari durante l’anno o raccolti lungo le strade perché randagi, finiranno nei piatti dei cinesi. Cani e anche gatti che vengono uccisi dopo essere stati torturati, in base alla orribile credenza che la sofferenza ne renda afrodisiache le carni. Che, in più, se vengono mangiate il giorno del solstizio d’estate diventano anche una fonte di salute e di fortuna. E invece sono solo simbolo di un massacro. Contro il quale è partita la campagna per dire “no” al Festival di Yulin in tutto il mondo.
 

 


A Roma per chiedere di fermare questo che è un Festival solo di nome, l’Associazione Animalisti Italiani Onlus organizza per martedì 21 dalle ore 10 alle 12 un presidio davanti l’Ambasciata Cinese in Largo Ecuador. E invita i cittadini a inviare una e-mail di protesta all’ambasciatore S. E. Li Ruiyu  (Fac-simile su http://bit.ly/22xgm1X).

Per dire basta a un evento che alimenta il mercato illegale e altro non è che un’attrazione macabra per attrarre turisti. Perché se è vero che la carne di cane e di gatto in Cina, oltre che in Corea,  in Thailandia, in Vietnam e nelle Filippine, è consumata da secoli non è usanza perpetrare la tortura: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale proclama che nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti e ad atti crudeli e se la soppressione di un animale è necessaria, deve essere istantanea, senza dolore, né angoscia. Cosa che accade in un angolo di Oriente dove queste creature vengono catturate con reti e poi rinchiuse in spazi angusti, malmenate, scuoiate e bollite vive fino a morire tra mille sofferenze.

Per questo si sono moltiplicati gli appelli di Associazioni  animaliste, Fondazioni come quella di Bigitte Bardot, divi e star internazionali come gli attori Ricky Gervais e Simon Cowell, la cantante Leona Lewis, la star dei jet set Paris Hilton. E ancora: la produttrice discografica Sharon Osbourne, l’imprenditrice e filantropa Lisa Vanderpumpa,  attraverso Human Society International, una delle maggiori organizzazioni al mondo per la difesa dei diritti degli animali. 

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