Miopia dell’Europa/ Passa dall’Africa la nuova sfida per la sicurezza

di Raffaele Marchetti
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Lunedì 21 Agosto 2017, 00:06
Tendiamo troppo spesso a pensare il terrorismo come legato all’Isis medio-orientale, ma Mosul è ormai riconquistata, Raqqa è quasi vinta, eppure gli attacchi rivendicati dall’Isis non accennano a svanire. Di fatto la diffusione dell’ideologia terroristica è molto più estesa geograficamente, si diffonde a grande velocità e la risposta politica europea tarda.
È esattamente nel momento di debolezza mediorientale che l’Isis ha bisogno di rilanciare altrove l’azione offensiva per confermare la sua forza politica e militare. L’Isis ha necessità di rassicurare gli sponsor e convincere i nuovi adepti che valga la pena unirsi alla jihad, malgrado le sconfitte in Iraq e Siria. Il proselitismo islamista radicale non cessa e si diffonde velocemente in molteplici direzioni. In Asia centrale, in sud est asiatico, e per quel che ci riguarda più direttamente in Europa e in Africa.
In tutto il Maghreb ci sono gruppi radicali armati. Oltre il caos libico (e malgrado la perdita di Sirte), frange violente si registrano in Egitto e Tunisia, ma anche in Algeria e Marocco, a completare una continuità nord africana che non può che preoccupare.

Anche in Africa sub-sahariana si registra una presenza considerevole di gruppi jihadisti: dall’Africa occidentale del Burkina Faso, Costa d’Avorio, Mali e Niger di Al Queda nel Maghreb Islamico (AQIM) e del più ampio Jama’at Nusrat, passando per la Nigeria di Boko Haram, e arrivando fino in Kenya e Somalia con Al Shabaab. Gli attacchi terroristici nel continente africano sono cresciuti del 200% e le vittime del 750% nel periodo 2009-2015, e soltanto tra gennaio e settembre 2016 si sono avuti altri 1.426 incidenti di terrorismo.
La risposta dei paesi africani è stata claudicante. Malgrado alcuni significativi accordi intergovernativi, come il protocollo del 2004 alla Convenzione di Algeri, l’implementazione è stata lenta e limitata per mancanza di risorse e di piena volontà politica.

In Europa si risentono pesantemente le conseguenze di questa doppia radicalizzazione africana. Sebbene spesso naturalizzati di seconda o terza generazione, vengono originariamente dal Maghreb molti degli attentatori degli ultimi fatti drammatici (i terroristi dell’11 settembre erano dei paesi del golfo). E vengono dall’Africa sub-sahariana i grandi flussi migratori che stanno politicamente destabilizzando il vecchio continente.
L’Unione Europea stenta a convergere su politiche comuni efficaci di contrasto al terrorismo africano. Da un lato l’attenzione è stata focalizzata per lungo tempo sul medio-oriente perché da lì provenivano flussi migratori che maggiormente minacciavano l’Europa germano-centrica. La soluzione, come sappiamo, è consistita nell’accordo ancora in vigore con la Turchia. Le istituzioni sono spesso vittime di inerzia burocratica: una volta definita una politica si fatica ad aggiornarla.

A ciò si aggiunga che il quadrante meridionale del mediterraneo presenta caratteristiche molto più complesse. Il paese che fungeva da cuscinetto, la Libia, è stato spinto nel caos ed è diventato un’infernale macchina che si nutre dei proventi del traffico di migranti per continuare il conflitto e radicalizzare i migranti di passaggio. Il tasso di crescita demografica continentale rende poi la spinta migratoria molto più difficilmente gestibile.
I paesi europei non riescono a trovare una risposta comune. La rivalità evidente tra il nostro paese e la Francia, il ritardato interesse tedesco, l’assenza degli Usa, il riaffacciarsi della Russia, l’influenza dei paesi del Golfo, rendono la partita nord-africana altrettanto complessa di quella medio-orientale e probabilmente più importante per l’Europa nel lungo termine.
La sfida africana è multidimensionale. L’economia, la stabilità politica e la sicurezza dell’Europa dipendono e dipenderanno sempre più nei prossimi anni dal rapporto con il continente africano. È di cruciale importanza che si trovi una politica comune sia all’interno dell’Ue sia tra l’Ue e i paesi e le organizzazioni regionali africane.
 
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