Emergenza profughi/ L’Europa cancelli gli egoismi passati

di Alessandro Orsini
4 Minuti di Lettura
Sabato 4 Febbraio 2017, 00:02
Quando i morti sono troppi, le questioni umanitarie diventano problemi di politica internazionale. 
Accade con l’immigrazione dalla Libia verso l’Italia. I migranti sbarcati sulle nostre coste sono stati 181 mila nel 2016, e circa 5000 di loro hanno perso la vita nella traversata. Nello stesso anno, i morti causati dai militanti dell’Isis nelle città europee sono stati 133. Ne consegue che il dramma umano più grande dell’Europa non è il terrorismo, bensì l’immigrazione. Sotto il profilo mediatico, i paesi europei hanno ingigantito il primo problema e rimpicciolito il secondo. Il governo italiano, ponendo la ragione politica al centro del dibattito pubblico, ha siglato un accordo con il governo di Tripoli per contrastare l’immigrazione clandestina. È ciò che fece Berlusconi con Gheddafi; è ciò che Gentiloni sta facendo con Fayez al-Sarraj, con una differenza importante. Gheddafi controllava tutta la costa libica; al-Sarraj soltanto una piccola parte. 

La Libia continua a essere divisa in una molteplicità di centri di poteri. A Tripoli esistono due governi. Il primo è guidato da al-Sarraj, che gode dell’appoggio dell’Onu; il secondo è il governo ribelle di Khalifa al- Ghwell, i cui uomini hanno cercato più volte di spodestare al-Sarraj con la forza. Occorre chiedersi quale tra questi due governi abbia la maggiore capacità di controllo delle coste della Tripolitania, che costituisce soltanto una parte della Libia. Al-Sarraj ha poteri più estesi, ma la persistenza del governo ribelle induce a ritenere che anche al-Ghwell abbia una capacità di controllo del territorio altrimenti sarebbe stato già sopraffatto dal governo di al-Sarraj. Chiarito che a Tripoli ci sono ben due governi, bisogna aggiungere l’esistenza di un terzo governo a Tobruk, guidato dal primo ministro Abdullah al-Thani, sempre più autonomo grazie alla protezione di al Sisi, il presidente dell’Egitto, e di Putin, il quale ha detto che in Libia nessun processo di unificazione politica avrà inizio senza il consenso dei suoi protetti a Tobruk. E poi ci sono alcune città libiche ancora in preda agli scontri tra milizie e, dunque, non sottoposte ad alcuna autorità centrale. Insomma, il governo italiano ha fatto ciò che bisognava fare, ma il successo degli accordi dipende da numerosi fattori che l’Italia non può controllare per ragioni oggettive. Una volta crollato lo Stato retto da Gheddafi, almeno otto Stati sono intervenuti nel contesto libico con la speranza di avere una parte nel processo di ricostruzione e scalzare l’Italia quale interlocutore privilegiato dei libici. Con fasi alterne di protagonismo, gli Stati principali sono: Turchia, Qatar, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Russia, Arabia Saudita e Francia. È una folla. Ognuno di questi Stati sostiene e finanzia una parte politica diversa. Ecco perché la Libia non riesce a unificarsi. In politica internazionale non vale il principio secondo cui: “Abbattuto uno Stato se ne fa un altro”. Vale il principio: “Abbattuto uno Stato, scoppia la guerra civile e si scatena il caos”. Lo vediamo in Iraq, in Libia, in Afghanistan, in Yemen e in Libia. Breve: meglio non abbattere gli Stati.

A parlar chiaro si fa prima: il duo Gentiloni-Minniti ha fatto ciò che poteva, ma adesso la partita è nelle mani dell’Unione Europea. Occorre infatti evitare l’errore di credere che gli accordi siano una questione tra Libia e Italia. Sono, ben diversamente, una questione tra Libia e Unione Europea, che ha attribuito all’Italia il ruolo di dialogare con la Libia per conto di tutti i paesi membri. È l’Unione Europea che dovrà impegnarsi per garantire il successo degli accordi, investendo mezzi e risorse soprattutto nel momento in cui le casse dello Stato italiano sono ulteriormente gravate dalle spese per la ricostruzione delle aree colpite dai terremoti. Che questa sia l’interpretazione politica corretta degli accordi emerge dalla dichiarazione di Donald Tusk, il presidente del Consiglio Europeo, il quale ha detto: “L’Unione Europea chiuderà le rotte irregolari dell’immigrazione”, al termine del suo incontro a Bruxelles con Sarraj poi volato a Roma per incontrare Gentiloni. Il compito – ha chiarito Tusk – spetta all’Unione Europea e non all’Italia.
Gli accordi ci sono. Ora occorrono le risorse e la volontà politica di renderli effettivi. Avendo meno migranti annegati, che è in assoluto il problema più importante da risolvere, potremo lavorare in una fase di maggiore distensione emotiva, rendendo più lucida la mente. Ciò di cui abbiamo bisogno per ripensare il futuro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA