Elezioni in Francia/ La vitalità del quartetto in corsa per l’Eliseo

di Marina Valensise
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Lunedì 23 Gennaio 2017, 00:04
Sorpresa. Dei sette candidati alle primarie socialiste, saranno l’ex ministro Benoît Hamon e il premier Manuel Valls a sfidarsi nel ballottaggio di domenica, dal quale uscirà il candidato del Partito socialista alle presidenziali di primavera. Il risultato è un piccolo schiaffo al governo in carica, perché con straordinaria rimonta pare sia proprio il radicale Hamon, rappresentante del progressismo utopico che propugna il salario minimo universale, ad essere arrivato in testa. I 3090 seggi scrutinati alle 21 (su 7530 in tutto) danno Hamon al 35,21 per cento, seguito da Valls al 31,36 mentre Arnaud Montebourg, l’altro favorito delle primarie 2017 è al terzo posto con il 18,70 per cento. Gli altri quattro candidati non superano il 6 per cento.
Molti consideravano le primarie socialiste un rito vuoto, utile solo a mascherare l’irrilevanza di un partito in caduta libera, e tutt’al più a ridistribuire le forze in vista di nuove prove. Davano in ribasso la partecipazione, che invece pare si sia attesta oltre un milione e mezzo di votanti (nel 2011 furono due milioni e settecentomila). Lo stesso Hollande, per evitare l’imbarazzo, se n’è andato in Cile, a visitare una centrale fotovoltaica costruita dall’Edf nel deserto dell’Atacama. Ma gli scettici dovranno ricredersi. Gli elettori socialisti si sono mobilitati e hanno votato per Hamon.

Resta da capire se il vincitore delle primarie riuscirà a superare il primo turno delle presidenziali. E qui lo scetticismo imperversa.
C’è chi prevede che il prossimo ballottaggio tra Hamon e Valls sarà un duello tra cavalieri ombra, anzi una battaglia persa. Quand’anche uno dei due calamitasse il voto degli altri sconfitti, ipotesi complicata visto l’odio che serpeggia nel Partito, difficile che riesca a imporsi sugli altri tre candidati in lizza per l’Eliseo, François Fillon per il centro destra, Marine Le Pen per l’estrema destra e il sedicente outsider Emmanuel Macron, a capo del movimento En Marche, che ha già 100 mila iscritti e che egli stesso ha fondato per superare l’antagonismo destra-sinistra e riformare il sistema.
Quanto all’odio interno al Ps, i voti di Montebourg, esponente della socialdemocrazia sovranista e protezionistica, difficilmente andranno al premier Valls che incarna invece un liberalismo senza complessi. E il radicale Hamon che potrebbe drenare i voti di Montebourg difficilmente potrà federare quelli dei moderati alla Vincent Peillon e degli altri sconfitti. D’altra parte, sul piano generale, non è escluso che nei prossimi mesi, molti socialisti delusi decideranno di votare Macron, per non disperdere del tutto le loro chance.

Macron, il banchiere di 39 anni, l’enfant prodige, pianista, filosofo, studioso di Machiavelli, innamorato della sua prof, che ha sposato dieci anni orsono, arruolato da Hollande prima come segretario generale dell’Eliseo e poi come ministro dell’Economia, è infatti il favorito dei sondaggi. La sua candidatura alla presidenza della Repubblica che sino a pochi mesi fa sembrava una bolla mediatica, cavalcata dai giornali su carta patinata, ma invisa al popolo, si sta sorprendentemente consolidando. Mentre François Fillon, ex premier di Sarkozy e vincitore delle primarie del centro destra, stenta a conservare la sua forza propulsiva: i tagli che ha annunciato fanno paura, come pure l’amicizia con la Russia di Putin e la retromarcia possibile sui diritti civili. E poi c’è Marine Le Pen, la candidata del Fronte nazionale, assai impegnata in selfie con Salvini e suoi colleghi dell’estrema destra europea, e però ferocemente anti euro e anti Unione Europea. Anche lei sembra perdere colpi. Molti degli elettori del Fronte nazionale in provincia frequentano i comizi di Macron e applaudono il sedicente outsider di Amiens, che dalla sua ha la freschezza - non è mai stato eletto, né in parlamento, né in un consiglio provinciale o regionale - e soprattutto la prudenza di non rivelare troppo il suo programma. Così cresce l’attesa e con l’attesa il gradimento. Abbastanza vago da non destare soverchie preoccupazioni, Macron risulta essere sufficientemente determinato per proporsi come un’alternativa, anzi come l’unica alternativa. Da ex ministro, dunque con cognizione di causa, denuncia un ingranaggio politico inceppato, col governo che gira a vuoto, le élite che si parlano addosso e il popolo che tira la carretta. Da ex banchiere, alle spalle una fulminea carriera alla banca Rothschild, rassicura i mercati e, soprattutto, difende l’Europa e l’integrazione europea. Da filosofo, ex assistente di Paul Ricoeur seduce le teste pensanti e il mondo della cultura, che in Francia ha il suo peso specifico. E infine da outsider, e da sfidante vero, figlio della meritocrazia repubblicana e perciò anti-casta, si propone come il vendicatore degli umili, degli esclusi, dei tagliati fuori, per il riscatto dei quali punta sull’innovazione tecnologica a tappeto, su una pedagogia di massa dell’imprenditoria diffusa e sulla modernizzazione amministrativa.
Il vento atlantico di Donald Trump soffia a suo favore? Può darsi, ma bisognerà governare la traversata sino alla fine, senza mai scuffiare e senza cambiare assetto. Di fatto, gli elettori francesi potranno almeno scegliere fra quattro candidati alle presidenziali.
 
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