Effetto Berlino/Così i profughi cambiano gli equilibri Ue

di Marco Gervasoni
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Martedì 26 Settembre 2017, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 00:25
Ai tempi di Bill Clinton era diffusa la battuta «è l’economia, stupido!». Cioè: vinceva il politico meglio capace di rendere prospero il Paese. Dopo le elezioni tedesche questa regola va rivista, o almeno ne va introdotta un’altra: «è l’immigrazione, stupido!». Le consultazioni degli ultimi tempi, dalla Nuova Zelanda alla Norvegia fino appunto alla Germania indicano nell’immigrazione l’orizzonte politico del nostro tempo, uno specchio in cui si riflette la percezione delle difficoltà economiche.

E si riflettono anche la paura del declino, demografico ma anche culturale e religioso, e la sempre più scarsa fiducia nei confronti dei governi. Chi dimostra di voler affrontare con fermezza e realismo il fenomeno viene premiato dagli elettori (come la Fdp). Al contrario di chi sottovaluta il problema, o adotta soluzioni ispirate solo alla generosità e a un atteggiamento da «cuore senza testa», come scrive Paul Collier, uno dei massimi studiosi dell’emigrazione. Sarebbe limitativo definire «senza testa» il «noi possiamo farcela» di Merkel sui migranti e sui rifugiati, improntato anche a un disegno realistico, favorevole al rinvigorimento dell’economia tedesca; solo che l’hanno solo in parte capito gli elettori, a cominciare da quelli del suo partito. Questo non ha impedito alla Cancelliera di (ri)vincere le elezioni, ma uscendo indubbiamente ridimensionata.

Oggi “Mutti” è un po’ meno potente, dal punto di vista politico, se con potenza politica intendiamo la capacità di far eseguire ordini. Al contrario di Macron, che ora appare l’unica figura europea capace di garantire un governo stabile fino alla fine del suo mandato, nonostante sia uscito a sua volta un po’ acciaccato dal non felice esito delle elezioni senatoriali. Per questo il cambiamento di scenario a Berlino, con la fine della grande coalizione, se da un lato ritarderà i progetti di riforma dell’eurozona proposti dall’Eliseo, dall’altro renderà più equilibrato un asse franco-tedesco fino ad ora fortemente sbilanciato dalle parti di Berlino. Sarà quindi importante ascoltare che cosa dirà oggi Macron, in un discorso in cui proporrà nientemeno che il «rifacimento» dell’Europa. E ancora più cruciale sarà leggere le dichiarazioni dell’establishment d’oltre Reno. Siamo meno certi, rispetto alle previsioni di qualche giorno fa, che la Ue finirà per essere governata da un asse franco-tedesco. Si affermerà piuttosto una sorta di Europa multipolare, a più velocità, con Francia e Germania a occupare il primo posto ma in cui l’Italia potrà riprendere un ruolo importante.

Non condividiamo infatti i timori che, con la fine della grande coalizione, la Germania tornerà ad essere arcigna con noi, soprattutto perché non dobbiamo adottare la psicologia degli scolaretti.
Si è aperta, come ha detto il presidente Antonio Tajani nell’intervista di ieri al Messaggero, «un’occasione per essere protagonisti» che non dobbiamo lasciarci sfuggire. Un esempio? I rapporti con la Russia. Possiamo infatti considerare le elezioni tedesche anche come una vittoria per Putin. Afd, Fdp, Linke sono tutti contrari alle sanzioni a Mosca e non nascondono rapporti di varia natura con il Cremlino, come una parte dell’Spd. E oggi anche nella Cdu molti criticano Merkel per aver abbandonato la Ost politik introdotta da Willy Brandt negli anni Sessanta del secolo scorso e dismessa dalla Cancelliera. È probabile perciò che la politica estera tedesca si sposterà maggiormente verso l’Europa orientale. Tutt’altro che una cattiva notizia per l’Italia, che potrebbe contribuire a spegnere i focolai di nuova guerra fredda con Mosca, voluti soprattutto dagli Usa. Occorre insomma che la nostra classe politica e quello che un tempo era chiamato establishment definiscano con chiarezza l’interesse nazionale, da far giocare in quello europeo. Evitiamo quindi la ridicola rincorsa a intestarsi le vittorie degli nazionalisti stranieri. Ma anche la sottomissione ai disegni degli altri governi. Impresa difficile, ma forse non impossibile.

 
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