Austria: dal caso Brennero all'Europa, così Hofer ha perso la battaglia

Austria: dal caso Brennero all'Europa, così Hofer ha perso la battaglia
di Flaminia Bussotti
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Martedì 24 Maggio 2016, 08:37
VIENNA - L'Austria ha votato e ha eletto presidente Alexander Van der Bellen, il candidato dei Verdi che al primo turno era arrivato secondo dietro il candidato dell'estrema destra, Norbert Hofer. Un vantaggio per Van der Bellen di soli 31.026 voti. Uno scarto minimo record. Fino all'ultimo sembrava invece che avrebbe vinto Hofer. Scenario che preoccupava molto anche all'estero. Grande sollievo quindi, anche in Italia, nelle reazioni in tutta Europa in un momento in cui il continente sembra contagiato euroscetticismo. Oltre alla vittoria di misura del candidato Verde, il risultato mostra in controluce un altro fatto incontrovertibile: il Paese è diviso, spaccato in due metà contrapposte.

IMPEGNO DIFFICILE
Compito principale del nuovo capo dello Stato sarà proprio ricucire lo strappo, cicatrizzare la ferita. E non sarà facile. Ne va della pace sociale e del futuro del Paese. E in ultima istanza anche dell'Europa. L'Austria non è infatti il solo paese nell'Ue - senza neanche scomodare Polonia, Ungheria e gli altri del Gruppo di Visegrad - ad essere animato da forti tensioni centrifughe: populismo, ripiegamento nazionale, pulsioni xenofobe, disincanto politico, allergia verso l'Europa, sfiducia verso i governanti di casa e i burocrati a Bruxelles, paure di ogni genere, reali o indotte da false promesse.
Dall'abilità con cui il nuovo presidente Van der Bellen e il nuovo cancelliere Christian Kern, un manager - sapranno, se ci riusciranno, risanare questa ferita dipende la stabilità del Paese e anche la sopravvivenza di un modello politico, quello dei partiti tradizionali, che rischia di scomparire e che proprio in Austria ha mostrato in queste settimane di essere allo stremo. Dal '45, tutta la storia della seconda Repubblica è un'alternanza di grandi coalizioni fra socialdemocratici (Spö) e popolari (Övp). E anche un manuale “Cencelli” versione alpina, con lottizzazione del potere, spartizione di cariche, nomine, poltrone capillare dai vertici ai gangli periferici dell'apparato statale e non solo.

La gente è stufa e al voto lo ha fatto capire. Il terremoto verificatosi fra il primo e secondo turno delle presidenziali - con le dimissioni del cancelliere e leader Spö, Werner Faymann, e la sostituzione con Kern - ha scongiurato il peggio, ma non è detto. Quel che serve ora sono risultati concreti: un governo che lavori, faccia le riforme necessarie, risolva i problemi reali, la gente è stanca delle chiacchiere e delle facce di sempre.

Il potere del presidente in Austria, anche in virtù dell'elezione diretta, è ampio e gli permette di dimettere governo e ministri (prerogativa però mai messa in atto finora). Il cancelliere, pur non avendo il “potere di indirizzo” di quello tedesco, è comunque l'uomo al comando: ci si aspetta che guidi. Dalle sue prime parole, Kern sembra che abbia davvero intenzione di cambiare musica.

Da anni i due grandi partiti al potere perdono punti e vedono minacciato il loro predominio: dall'80% di voti, assieme, che potevano vantare in passato, si era arrivati al 50% scarso con il timore di non farcela a mettere insieme una maggioranza sufficiente per governare alle prossime elezioni.

LA SCALATA DA HAIDER IN POI
Il processo di erosione dei grandi partiti è addebitabile in parte alle loro stesse colpe, e in parte alla comparsa sulla scena di politici populisti, più o meno carismatici, che snobbando la liturgia del potere e il suo linguaggio politichese, hanno fatto breccia parlando direttamente alla pancia del Paese. Il capostipite è stato Jörg Haider, l'ex leader Fpö e governatore della Carinzia, che portò il partito dal 5% al 30% nel giro di un paio di decenni. Gli è succeduto Heinz-Christian Strache, che si considera cancelliere in pectore. Con le presidenziali però le cose sono cambiate: Strache ha ricevuto con Hofer una temibile concorrenza. Entrambi, assieme, punteranno a mettere il bastone fra le ruote al governo e aizzare il populismo. Un Hofer presidente, paradossalmente, avrebbe frenato i bollori della Fpö per accreditare una sua immagine istituzionale. Adesso è probabile invece che la Fpö avanzerà a briglia sciolta e, alle urne, continuerà a vincere (è già il primo partito col 34%). Una sagace strategia del governo potrebbe essere, come suggerito da vari commentatori, togliere il vento dalle vele della Fpö cercando un dialogo anziché insistere, come loro dicono, con la demonizzazione del partito e i suoi elettori, che finora ha avuto peraltro solo un effetto moltiplicatore.