La crisi in corso/Perché la guerra tra la Cina e l’America si può evitare

di Romano Prodi
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Domenica 15 Gennaio 2017, 00:25
Donald Trump non è ancora entrato nella Casa Bianca che già scoppiano le scintille fra gli Stati Uniti e la Cina sia in campo militare sia in campo economico. Anche se le scintille non si sono ancora trasformate in un incendio, le dichiarazioni della nuova amministrazione americana addirittura accentuano la durezza espressa da Trump durante la campagna elettorale. 

In campo militare il futuro Segretario di Stato Rex Tillerson ha espresso l’intenzione di sottoporre ad assedio le isole del mare della Cina che prima erano deserte e che il governo di Pechino ha, negli scorsi anni, trasformato in potenti basi militari. Il governo cinese, dal punto di vista ufficiale, non ha pronunciato verbo ma ha fatto scrivere ai suoi giornali che la Cina è una potenza nucleare e che di questo bisogna tenere conto. Su questo tema, che tanto occupa e preoccupa l’opinione pubblica, penso che le tensioni verbali continueranno e cresceranno ma penso anche che, alla fine, non potrà succedere nulla. Semplicemente perché è troppo tardi. 
La costruzione delle basi militari è un fatto compiuto che ha colto di sorpresa tanto gli Stati Uniti quanto i paesi confinanti con la Cina, che pure ambivano alla sovranità sulle stesse isole. Non è tuttavia facilmente pensabile che gli Stati Uniti, almeno nella presente situazione, abbiano l‘intenzione di accendere un fuoco potenzialmente devastante e così lontano da casa. 

L’America ha per ora tutto l‘interesse a lasciare all’improbabile convergenza di Russia, India e Giappone il compito di contenere militarmente la Cina, purché abbia l‘intelligenza politica per gestirlo. Per il tempo prevedibile dobbiamo quindi aspettarci ancora tante provocazioni: da un lato ripetute minacce di blocco navale e, dall’altro, altrettante riposte dedicate a rimarcare la potenza nucleare della Cina ma nulla più se non l‘occasione per aumentare le spese militari da parte di entrambi i contendenti.

Diverso è il caso dei venti di guerra commerciale, dove le posizioni sono altrettanto bellicose ma dove le possibilità di conflitti, prima parziali e poi allargati, sono maggiori. Abbiamo infatti alle spalle una campagna elettorale nella quale Trump ha indicato nella Cina e nel Messico l’origine di tutti i problemi occupazionali e della stagnazione salariale degli Stati Uniti. In secondo luogo, il nuovo presidente ha nominato come responsabile della politica commerciale Peter Navarro, che ha per anni portato avanti le posizioni più anti-cinesi che si potessero immaginare. Ci basti ricordare che il suo libro di maggiore successo ha per titolo “Le prossime guerre con la Cina: dove saranno combattute e come potranno essere vinte”.

Nel campo commerciale le dichiarazioni e gli interessi elettorali americani spingono perciò nella stessa direzione, anche se gli interessi economici reali sono molto più complessi perché i flussi commerciali e gli investimenti incrociati fra Cina e Usa si sono spinti così avanti che una guerra economica porterebbe ad esiti davvero imprevedibili e certamente dannosi per entrambe le parti e per l’economia del mondo intero. Inoltre, dal lato americano, esistono formidabili forze economiche contrarie ad una rottura con la Cina come il mondo agricolo o quello finanziario, mentre molte delle grandi imprese fondano la loro “catena del valore” su componenti o su fasi di produzione realizzate in Cina.

Siamo inoltre di fronte a un fatto nuovo: tanto le esportazioni quanto il surplus commerciale cinese tendono a calare per effetto dell’aumento dei consumi interni e del costo del lavoro cinese. Un‘ora di lavoro americano non costa trenta volte in più di un‘ora cinese ma solo (si fa per dire) quattro volte. Tenuto però conto che la produttività del sistema americano è tre volte superiore a quella cinese le differenze non sono poi tante e si possono rapidamente azzerare. Una guerra commerciale non dovrebbe quindi essere principalmente condotta tanto contro la Cina ma contro l’India e, soprattutto, contro i paesi del Sud Est Asiatico, dove si stanno indirizzando tutte le imprese mondiali a caccia di mano d’opera a basso costo.

Per questo motivo negli Stati Uniti sta crescendo una forte spinta politica verso una generalizzata tassa sulle importazioni, da mettere in atto attraverso nuove raffinate misure fiscali. Questo però condurrebbe davvero al protezionismo totale e ad una catastrofe generale. Non credo perciò che questo avvenga mentre penso che, nel campo commerciale, avremo tante piccole ma crescenti azioni ostili da entrambi i lati. Speriamo solo che questo processo non sfugga di mano, come spesso avviene in questi casi.

La guerra fra Stati Uniti e Cina non solo non è cominciata ma è anche evitabile: per evitarla occorre tuttavia una saggezza che sembra soffocata da una demagogia in grado di operare anche contro gli interessi di lungo periodo di entrambi i Paesi.
D’altra parte, dalle guerre del Peloponneso in poi, conosciamo bene quanto sono elevate le probabilità di scontro fra una potenza consolidata ed una potenza ascendente. Per ora non vi è il rischio di uno scontro fra Cina e Stati Uniti, ma è necessario tenere gli occhi aperti e, soprattutto, occorre molta saggezza. 

 
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