Il Consiglio di Stato francese: è illegale vietare il burkini

di Alessandro Perissinotto
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Sabato 27 Agosto 2016, 00:49
Nizza, Promenade des Anglais, mattina di fine agosto. Un’auto della polizia municipale percorre lentamente la passeggiata a mare; a bordo tre agenti impegnati in una importante missione.
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Controllano che accanto ad ognuna delle scalette che conducono alla spiaggia, l’ordinanza che vieta il burkini sia ben visibile; là dove i fogli appaiono sbiaditi, uno degli agenti scende e li rimpiazza con fotocopie perfettamente nitide; e che nessuno dica che la Municipale nizzarda non vigila sulle cose importanti! Sembrano non sapere che il Consiglio di Stato francese ha bocciato l’ordinanza anti-burkini emessa da diverse municipalità della Costa Azzurra. Leggo l’avviso e poi scendo la scaletta.

A pochi metri, sul bagnasciuga, c’è una donna islamica: maglietta anti-Uv a maniche lunghe di una nota marca francese (e quindi non pericolosamente radicale) 10 euro; bermudone a fiori, da uomo, lungo fino ai polpacci, di una nota marca francese 15 euro; cuffia morbida, in tessuto, da piscina, di una nota marca francese 3 euro; aggirare il divieto di indossare in spiaggia abiti a connotazione religiosa non ha prezzo.
Sì, perché non si può multare un burkini fai da te di una nota marca francese, almeno non in Francia: piccole ipocrisie d’estate. L’ordinanza stessa è un capolavoro di ipocrisia e affastella le motivazioni più diverse per parlare alla «pancia» del Paese più che alla sua testa.

Alcune di queste motivazioni fanno appello alla razionalità e ricordano che «è necessario che i bagnanti non siano ostacolati dalla loro tenuta da bagno e che questa non complichi le operazioni di salvataggio in caso di annegamento»; peccato che il burkini, per tessuto e forma, ricordi da vicino il costume intero che i nuotatori agonisti utilizzavano fino a qualche anno fa e che poi è stato messo al bando dalla federazione internazionale perché troppo performante (un caso di doping tecnologico). Altre motivazioni fanno appello alla paura, istituendo un legame implicito ma diretto tra il burkini e il terrorismo: «Considerati gli attentati terroristici compiuti in Francia dal 2015…». Altre, infine, richiamano i principi di laicità e dichiarano l’opportunità di «restringere provvisoriamente la libera espressione delle convinzioni religiose degli utenti del servizio pubblico balneare». Già, non si vieta il burkini, ma «l’espressione delle convinzioni religiose», la manifestazione di simboli; mi rammarico di essermi lasciato crescere troppo la barba, per pigrizia, e ho paura che possa essere scambiata per una barba islamica: se la Municipale mi becca in spiaggia con il barbone mi dà la multa o mi rade all’istante? 

Più che anti-islamico, il provvedimento è contro le donne islamiche. E, devo ammettere, che, in questo senso, la sua efficacia è totale. Se escludiamo la giovane signora con indosso il succedaneo del burkini (la quale, all’occorrenza, potrebbe essere spalleggiata dal marito biondo, di famiglia francese fin dall’epoca carolingia e chiaramente non islamico), di donne musulmane in spiaggia non se ne vedono quasi più, e non parlo solo di quelle pochissime che si velavano da capo a piedi e che ora rischiano la sanzione; mi riferisco alle altre, a quelle che, con il foulard in testa, venivano a portare i figli al mare; mi riferisco alle ragazze che, con i capelli nascosti dal velo, si mescolavano alle loro coetanee in bikini o in topless.

Qualcuna, nerovestita, si siede sulla massicciata che separa l’arenile dalla strada, sulla frontiera tra il mondo di ghiaia, dove gli abiti islamici sono contrari ai principi della Repubblica, e quello d’asfalto, dove non lo sono. Una cosa è certa: quest’estate la spiaggia di Nizza è stata largamente «de-arabizzata», al femminile come al maschile, perché, sebbene su di loro non penda nessun provvedimento particolare, anche gli uomini del Maghreb disertano la battigia. Certo, forse non è solo questione di ordinanza, forse sentono di dover portare collettivamente la colpa e la vergogna per la strage commessa proprio lì da uno di loro. Ma com’era facile prevedere, il divieto di mostrare simboli religiosi non ha liberato le donne islamiche di Nizza dal peso del velo, non le ha rese padrone del proprio corpo, non le ha convinte a spogliarsi e a godere, come tutti noi, del piacere dell’acqua e del sole sulla pelle. Semplicemente, il divieto le ha rinchiuse ancora una volta nella prigione dei quartieri ghetto, dell’Ariane, di Saint Roch, ha privato loro e i loro bambini, in questo torrido scampolo d’agosto, di un po’ di brezza dal mare.
 
Certo, su una spiaggia senza quelle donne coperte di stracci e quei barbuti il pericolo terroristico sembra un po’ più lontano, la Costa Azzurra sembra tornata quella di una volta, quella della bella vita e di Brigitte Bardot con i seni al vento. La pancia del Paese è contenta, ma fino a quando potrà esserlo? Fino a quando non capirà che il rimedio è peggiore della malattia. Fino a quando non si accorgerà che chiudere gli arabi nei loro quartieri non è affatto una buona idea.

Fino a quando non capirà che le pentole a pressione con le valvole bloccate prima o poi scoppiano. 
Allontanare gli islamici dalle spiagge è un modo per far credere che la situazione sia sotto controllo, per convincere che basta far solcare la Promenade e Avenue Jean Médecin da pattuglie di soldati con la mimetica e il mitragliatore in mano per scongiurare ogni pericolo. Lungo il percorso del camion maledetto sono sparsi fiori, lumini, animaletti di peluche e qualche madonnaro ha scritto sull’asfalto le parole «Pace» e «Coraggio»; ma l’ordinanza del sindaco a me non sembra né pacifica, né tantomeno coraggiosa, a meno che, oggi, coraggio non significhi fare come fanno i terroristi, non significhi prendersela con donne e bambini.
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